12 anni schiavo, la recensione

Periodicamente gli Stati Uniti tornano a riflettere sulle proprie vergogne, su quelle macchie sulla coscienza ormai indelebili che, giustamente, vengono messe sulla pubblica piazza piuttosto che celate dall’oblio degli anni. Negli ultimi mesi, è lo schiavismo ad essere tornato alla ribalta nel cinema statunitense, trattato in modo totalmente differente da Steve McQueen in confronto a quanto fatto di recente dai colleghi Steven Spielberg e Quentin Tarantino. Se, in Lincoln, Spielberg ha affrontato la tematica ponendola come contesto di una vicenda che avesse per protagonista colui che ha “spezzato le catene” e, in Django Unchained, Tarantino ha raccontato, con il suo stile inconfondibile, l’epopea di uno schiavo alla ricerca di vendetta e redenzione, McQueen, con 12 anni schiavo, cerca la strada più classica possibile per raccontarci la dura e crudele odissea di Solomon Northup.

Tratto dall’autobiografia dello stesso Northup, 12 anni schiavo ci descrive il lungo periodo di schiavitù che l’uomo libero Solomon Northup, interpretato da Chiwetel Ejiofor, si è trovato a scontare a causa del tradimento di persone che considerava fidate, che l’hanno drogato e venduto come schiavo. Passato di padrone in padrone, Northup si è trovato a fare i conti con lo spietato negriero Freeman (Paul Giamatti), il comprensivo e accomodante Ford (Benedict Cumberbatch), lo psicopatico Epps (Michael Fassbender) e il salvifico Bass (Brad Pitt) ed è riuscito a sopravvivere grazie alla sua grande forza di volontà, al suo talento nel suonare il violino e al buon senso di non mettersi mai apertamente contro i suoi padroni, con tutte le umiliazioni che questo poteva comportare.

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McQueen ci aveva abituato a un cinema anticonformista, intimo e lucidamente crudele, incentrato su vicende di tormento psicologico e solitudine, come accadeva nei suoi precedenti Hunger e Shame. In 12 anni schiavo , si nota una costante autoriale nella descrizione ossessiva di un uomo solo e fermamente disposto a combattere per i propri ideali, ma quell’antinomia da cinema underground che caratterizzava i precedenti lavori di McQueen viene qui sostituita da una veste ricca e pomposa che porta il regista di Shame direttamente nell’universo mainstream. Forse è questa la dimensione più adatta a raccontare una storia dall’ampio respiro temporale e dalla forte tenuta morale come quella narrata in 12 anni schiavo e il film, infatti, si fa forte del suo abito e vince, perché riesce a parlare al grande pubblico. Questo non vuol dire che McQueen realizza un film per famiglie che ci racconta la triste parentesi dello schiavismo; piuttosto, 12 anni schiavo non cerca facili e laccati compromessi rappresentativi e ci mostra i fatti per quello che sono stati, senza omettere le più oscene crudeltà. Anzi, McQueen sembra calcare la mano proprio sull’aspetto più cruento, abbandonandosi a lunghe scene di tortura con dovizia di particolari quali schizzi di sangue e brandelli di carne che divergono a causa delle frustate, richiamando quasi la lezione splatter gibsoniana di La passione di Cristo. Ci mostra la follia di chi deteneva la facoltà di vita e di morte sulle altre persone, con strazianti scene in cui figli vengono allontanati dalle madri e lunghissimi momenti di grande intensità in cui uomini rimangono appesi per il collo a penzolare dal ramo di un albero mentre, attorno a loro, si consuma la quotidianità, come se nulla fosse.

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Il regista, usufruendo di una sceneggiatura asciutta e rigorosa firmata da John Ridley, crea dei confini nettissimi tra bene e male, con vittime contrapposte a psicotici e bastardi “d.o.c.”, facendo sì che per lo spettatore sia inequivocabile il parteggiamento e l’immedesimazione. Ed è proprio in questo gioco delle parti che emerge anche la bravura di molti degli interpreti coinvolti, in particolare il protagonista Chiwetel Ejiofor e il cattivo Michael Fassbender, che qui torna a recitare per McQueen per la terza volta.

Se vi aspettate, dunque, una visione autoriale dello schiavismo americano non avrete pane per i vostri denti. 12 anni schiavo è un film che sembra fatto apposta per gareggiare alla notte degli Oscar, ma è comunque un’opera di grandissimo impatto emotivo, realizzata con grande professionalità e con il pregio di risultare altamente avvincente e coinvolgente malgrado il tema non proprio leggero che affronta e la durata che supera abbondantemente le due ore.

Adatto soprattutto agli amanti del buon cinema classico.

Roberto Giacomelli

 

PRO CONTRO
  • Una storia ben raccontata e uno stile classico rendono il film appetibile a un ampio pubblico.
  • Quasi tutti gli attori coinvolti sono bravi e in parte.
  • La crudezza di alcune scene è necessaria a mostrare l’orrore della vicenda narrata.
  • Da Steve McQueen ci si sarebbe aspettati un film più sperimentale, 12 anni schiavo è molto hollywood-oriented.
  • Brad Pitt nel piccolo ruolo di Bass è particolarmente stonato.

 

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