Charlie’s Angels, la recensione

In un momento storico in cui ad Hollywood i produttori hanno l’esigenza di un riscatto morale, per urlare al mondo che loro non sono come Weinstein, anzi è fondamentale andare oltre e allo stesso tempo non dimenticare, spuntano come funghi progetti che inquadrano sotto una luce differente la donna, sia a livello professionale (quindi più registe e più sceneggiatrici) sia nelle storie raccontate nei film.

Step praticamente obbligato per questa “rivincita rosa” è Charlie’s Angels, simbolo del girl power fin dai suoi esordi in tv negli anni ’70, che ora diventa nuovamente un film dal sapore blockbuster.

Ma è doveroso un breve excursus storico.

GLI ANGELI DEL PASSATO

Nel 1975 Ivan Goff e Ben Roberts, che venivano dal successo televisivo de Gli inafferrabili, proposero alla ABC l’idea per una serie poliziesca in cui tre bellissime ragazze appena uscite dall’Accademia di Polizia fossero ingaggiate come agenti speciali per combattere il crimine. L’allora produttore esecutivo Barry Diller, però, ritenne questo progetto semplicemente ridicolo perché non pensava che il pubblico potesse credere (e quindi decretare il successo) in tre donne che facevano cose da uomini. Ma bastò una manciata di mesi e il rinnovo del personale della ABC che il progetto potesse diventare realtà e già nel 1976, preceduto da un pilota sottoforma di tv-movie, vedeva la luce Charlie’s Angels.

Charlie's Angels

In breve tempo, quella prodotta da Aaron Spelling e Leonard Goldberg diventò una delle serie tv più trendy e di successo di quegli anni, capace di sopravvivere per cinque stagioni (fino al 1981), creare una marea di imitazioni e diventare un cult che ancora oggi conta proseliti in tutto il mondo. Charlie’s Angels, inoltre, ha dato vita a una serie reboot (fallimentare) nel 2011, due film per il cinema nel 2000 e 2003 di grande successo e, ora, un ulteriore reboot per il grande schermo.

Charlie’s Angels ha sempre viaggiato su un doppio binario che ha creato un alone di ambiguità sulla funzione femminista del prodotto. L’idea nasceva in un periodo il cui il femminismo era un argomento all’ordine del giorno quindi ha senz’altro cavalcato l’onda dell’attualità e, nonostante fosse stata partorita da menti maschili (ma non poteva essere altrimenti all’epoca), riusciva con abilità a scrollarsi di dosso tutti i facili sottotesti sessuali che avrebbe potuto generare per accogliere maggiore successo. Quindi, Charlie’s Angels era davvero un prodotto che mostrava la donna emancipata, non più oggetto e capace di essere alla pari dei colleghi maschi, un po’ come accadeva anche nel cinema blaxploitation con le eroine interpretate da Pam Grier e Tamara Dobson. Questo nonostante a capo dell’organizzazione ci fosse un uomo, il misterioso Charlie, e da intermediario operasse un altro uomo, il simpatico Bosley.

Charlie's Angels

Eppure, Charlie’s Angels ha guadagnato uno stuolo di fan uomini incredibile, le protagoniste sono diventate icone sexy, nonostante la serie non puntasse mai esplicitamente su quell’aspetto, e hanno contribuito a costruire quell’immaginario popolare fondato sulla donna d’azione che ha alimentato fino ad oggi generi d’intrattenimento maggiormente indirizzati a un pubblico maschile. Un bel paradosso. O forse no.

Nel 2000, quando Columbia Pictures decise di rilanciare il brand al cinema, gli sceneggiatori e il regista McG (tutti uomini) hanno seguito una strada interessante calcando la mano sull’aspetto comedy e dando vita a film action esageratissimi che rientravano perfettamente nel trend di quegli anni, oltre che scegliere come “Angeli” tre attrici praticamente perfette per gli intenti di quell’operazione: Drew Barrymore, Cameron Diaz e Lucy Liu. Un grande successo al botteghino, un sequel tre anni dopo con aggiunta di una cattiva Demi Moore e meno fortuna al botteghino e poi di nuovo silenzio. Fino al post #metoo.

GLI ANGELI DEL PRESENTE

Cinque donne in produzione, alla regia e alla sceneggiatura (ma anche nel cast e in produzione) la talentuosa Elizabeth Banks e un team di attrici che comprende la musa del cinema indie, nonché icona bisex, Kristen Stewart, la neo-principessa femminista Disney (era Jasmine nel live action di Aladdin) Naomi Scott, e la ex atleta e quasi esordiente Ella Balinska. Ovvio che Sony Pictures per questo rilancio del loro media-franchise stesse puntando tutto sull’aspetto più smaccatamente femminista, rimarcato in più di un’occasione anche dai dialoghi dei personaggi e da alcuni risvolti della sceneggiatura.

Il problema, però, è che – sempre paradossalmente – Charlie’s Angels rimane un prodotto molto caldeggiato da un target maschile che, in questa occasione, si è trovato tra le mani un prodotto quasi ostile al suo pubblico più affezionato con la prevedibile conseguenza del fortissimo flop al botteghino.

Perché quello in cui i due film di McG erano riusciti e in cui quello di Elizabeth Banks ha fallito, è dare furbamente un colpo al cerchio e uno alla botte e coccolare un pubblico ampio e, fondamentalmente, non genderizzato.

Charlie's Angels

Ma, duole dirlo, se il nuovo Charlie’s Angels è un fallimento, la colpa non è solo di una strategia produttiva e comunicativa poco efficace, ma anche perché è di una modestia generale davvero preoccupante.

Di fatto reboot ma, allo stesso tempo, inquadrato come sequel dell’intero media franchise, con riferimenti espliciti anche ai due precedenti film, Charlie’s Angels 2019 racconta come l’agenzia investigativa Townsend, operativa nel campo della sicurezza fin dagli anni ’70, si è ormai estesa in tutto il mondo con diversi team di “Angeli”, ognuno guidato da un differente Bosley. Quando l’azienda del giovane genio dell’ingegneria Alexander Brock diffonde le prime informazioni sulla sua rivoluzionaria tecnologia energetica, si cominciano a prospettare scenari apocalittici perché la stessa tecnologia potrebbe anche essere impiegata per scopi bellici. La Townsend affida allora a Bosley una squadra per impedire che questo accada, composta dalla maga dei travestimenti Sabina e la risoluta Jane, ex agente MI6: il loro compito è intercettare Elena Houghlin, capo programmatore nell’azienda di Brock, e utilizzarla per sottrarre il prototipo della potenziale arma. Ma per far si che la missione vada per il verso giusto, la stessa Elena deve essere addestrata come un vero Angelo!

Charlie's Angels

Raccontato quasi come una origin story – quella dell’Angelo “matricola” Elena – Charlie’s Angels riesce indubbiamente a piazzare una serie di buone intuizioni che ne mettono in risalto alcuni lati positivi. Innanzitutto, l’idea di inserire questo film in un contesto più ampio che possa tener conto quanto fatto negli anni – in tv e al cinema – dal brand Charlie’s Angels dona a questo film un originale posizionamento transmediale che raramente si trova in un reboot. Poi il cast, al di là del valore targetizzante ipoteticamente strategico, funziona perché Kristen Stewart e (soprattutto) Ella Balinska hanno quella grinta da action realistico che questo film richiede, così come Naomi Scott ha quel viso furbetto e i modi impacciati adatti al personaggio chiamato all’azione suo malgrado.

Quello che invece risulta dannatamente stantio e impacciato è la scrittura dei personaggi, che spesso faticano ad emergere, appaiono contraddittori e non riescono a farci affezionare a loro. A nessuno di loro. Ma il problema della scrittura è facilmente estendibile al film nel suo complesso, inutilmente arzigogolato in alcuni punti e di una semplicità imbarazzante in altri, con colpi di scena telefonatissimi e costruzione narrativa delle scene che ha quasi del surreale. Un esempio su tutti è rappresentato dal piano che gli Angeli hanno escogitato per sottrarre il prototipo tecnologico, di una stupidità che si fatica quasi a trovare un nesso logico nelle loro azioni.

Charlie's Angels

Così così la regia della Banks, che in questo ruolo si era già cimentata con il primo sequel di Pitch Perfect e con un episodio (molto divertente) del film antologico Comic Movie. Al film manca ritmo e si nota anche una certa incertezza nella direzione delle scene madri, soprattutto in quelle d’azione, in cui regna la confusione e si percepisce una goffaggine generale sia nell’organizzazione degli stunt che nella gestione dei tempi, come se mancasse un vero quadro d’insieme o il girato fosse stato maneggiato più e più volte, da persone differenti.

E quindi, arrivati alla fine di quello che sarebbe voluto essere chiaramente il primo tassello di una saga, rimane impressa nella retina dello spettatore solo una breve sequenza di immagini in loop: tre ragazze (attraenti) che picchiano (male) maschi (scemi) annunciando di farlo. Un po’ pochino e soprattutto sminuente per un brand che ha 45 anni di gloriosa storia mediale e un’importanza socio-culturale da non sottovalutare.

Roberto Giacomelli

PRO CONTRO
  • Il cast per i tre Angeli è stato azzeccato.
  • Qualche buona intuizione nel costruire il background del prodotto.
  • La scrittura: uno script che alterna sciatteria a momenti inutilmente intricati.
  • I personaggi non hanno mordente.
  • La regia è spesso goffa.
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Valutazione: 5.0/10 (su un totale di 1 voto)
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Charlie's Angels, la recensione, 5.0 out of 10 based on 1 rating

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