Collateral Beauty, la recensione

Il periodo che si colloca a cavallo tra la fine dell’anno appena trascorso e l’inizio di quello nuovo è costellato di diverse tipologie di film: abbiamo le commedie natalizie, italiane e non, i grandi blockbuster americani ed infine quelle opere confezionate apposta per gli imminenti Oscar… che tradotto in parole povere significa storie strappalacrime e intense dal punto di vista emotivo. A questa terza categoria appartiene senza dubbio Collateral Beauty, il nuovo lavoro di David Frankel il quale, dopo una serie di commedie leggere (tra cui ricordiamo Io e Marley, Il diavolo veste Prada e Il matrimonio che vorrei), torna alla ribalta con un dramma commovente incentrato sull’elaborazione del lutto e su come da una grande sofferenza possa riaffiorare la voglia di vivere.

Una tematica molto importante e complessa che però affonda miseramente all’interno di un film deludente e salvato solo in parte da un grande cast che vanta attori del calibro di Willi Smith, Kate Winslet. Michel Pena, Eward Norton e Keira Knightley.

Howard è un pubblicitario in grande ascesa, benvoluto dai colleghi e con grandi progetti da sviluppare. Tre anni dopo, però, le cose sono cambiate a causa della perdita della figlia che lo fa sprofondare in una forte depressione che combatte scrivendo lettere alla Morte, all’Amore e al Tempo. Tre entità astratte che diventano in carne e ossa nel momento in cui i suoi più cari amici e colleghi pagano tre attori teatrali per interpretarle e parlare con Howard. Il percorso di recupero diventa un’occasione di riflessione non solo per l’uomo, ma anche per tutti gli altri.

Le caratteristiche per un film toccante e profondo ci sarebbero tutte, eppure tutte le potenzialità vengono sprecate da una storia molto artificiosa nelle sue dinamiche e basata su meccanismi molto furbi e scontati. Frankel e il suo sceneggiatore Allan Loeb, infatti, sanno benissimo che il tema della perdita e dell’elaborazione del lutto, molto in voga nel cinema in quest’ultimo periodo anche in generi non tradizionali (basti pensare soltanto all’horror The Babadook), può facilmente generare un intreccio con tutte le caratteristiche sopraelencate e fanno di tutto per accentuarne ogni reazione, anche a costo di rendere il tutto noioso e irritante. Questi ultimi due aggettivi sono senza dubbio attribuibili alle ripetute e superficiali conversazioni fra il protagonista e le entità astratte, a cui aveva scritto delle lettere di riflessione, che risultano ridondanti e in realtà poco funzionali al processo di riflessione interiore nel quale sono coinvolti anche gli amici del pubblicitario in difficoltà.

Insomma il risultato è un film vuoto e senza un plot solido, che non emoziona, non coinvolge, non appassiona e soprattutto rischia di trascinare nella sua mediocrità anche il grande cast a disposizione con attori che, nonostante tutto, riescono a mantenere la scena con mestiere e a preservare quel minimo di credibilità presente nelle storia.

Collateral Beauty è un’operazione riuscita male sia in vista degli Oscar sia per lo scopo di emozionare il pubblico.

Vincenzo de Divitiis

PRO CONTRO
  • Un cast di grandi attori che tengono a galla, seppur parzialmente, il film.

 

  • Una storia molto artificiosa e furba.
  • Dialoghi lunghi, ripetitivi e superficiali.
  • Alcuni personaggi stucchevoli.
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Valutazione: 5.0/10 (su un totale di 1 voto)
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Collateral Beauty, la recensione, 5.0 out of 10 based on 1 rating

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