Countdown, la recensione

Memento mori, ovvero ricordati che devi morire, recitava un’antica locuzione latina utilizzata per lo più per ridimensionare l’entusiasmo dei generali vittoriosi in rientro da una guerra. Rielaborata in chiave comica da un noto sketch del grande Massimo Troisi, il memento mori è poi stato spesso al centro di fantasiosi concept per film horror di nuova generazione: leitmotiv dell’indimenticabile saga Final Destination – che vedeva al centro del racconto proprio la difficoltà, se non impossibilità, di sottrarsi alla morte – e punto di partenza (e arrivo) di The Ring, dove a scandire le lenta venuta della Triste Mietitrice è un conto alla rovescia di 7 giorni. Un countdown verso il momento della morte è anche l’idea primaria del film d’esordio di Justin Dec che si intitola, appunto, Countdown e arriva nei cinema italiani dal 21 novembre distribuito da Eagle Pictures.

Ricavato da un cortometraggio dall’omonimo titolo che Justin Dec ha realizzato nel 2016 in sole due notti raccontando le ultime ore di terrore di una coppia alle prese con la loro imminente morte annunciata da una app per mobile, Countdown ha potuto contare il supporto di due noti filmakers come Sean Anders e John Morris, che con Dec avevano lavorato in Daddy’s Home 2 e Instant Family. I due hanno visto il cortometraggio e hanno chiesto al regista se riuscisse a trasformare quei 5 terrificanti minuti in un lungometraggio da 90 minuti e a produrlo ci sarebbero stati loro, Gregory Plotkin di Hell Fest e Paranormal Activity: Dimensione fantasma e la STX Entertainment. Detto fatto: Justin Dec si mette al lavoro sullo script tenendo l’idea del suo corto nel prologo e sviluppandola poi in una trama articolata capace di reggere la durata di un lungometraggio.

Countdown racconta di una app per cellulari che se scaricata predice quanto tempo manca alla morte del proprietario del telefono. Quando la neo-infermiera Quinn scarica la app per far chiarezza sulla misteriosa morte di un suo paziente e della sua fidanzata, le viene detto che mancano solo due giorni al suo decesso e capisce che è entrata in un beffardo meccanismo in cui sembra impossibile sottrarsi al suo destino.

Se ve lo state chiedendo, si c’era già un recente film che racconta di una maledizione diramata attraverso una app per cellulari, Bedevil – Non installarla (2016) di Abel e Burlee Vang, e Countdown gli somiglia molto. Vi diremo di più, c’è un secondo film che si basa sul medesimo concept, You Die. Scarichi l’app, poi muori (2018) di Alessandro Antonaci, ancora inedito. Se si tratta di una casualità o meno non lo sapremo mai, fatto sta che al di là della sospetta similarità, il film di Justin Dec non riesce mai a sorprendere incanalandosi immediatamente in un meccanismo di già visto che pesca a mani basse dal filone high-tech horror iniziato proprio con The Ring e rubando un paio di escamotage narrativi al già citato Final Destination. Insomma, se siete vogliosi di originalità, girate alla larga.

Però se non siete particolarmente esigenti, Countdown offre uno spettacolo d’intrattenimento piuttosto efficace, fatto di momenti divertenti e una sapiente costruzione delle scene di paura con un utilizzo affatto invasivo dei tanto odiati jumpscares.

Il concept si basa su un conto alla rovescia, quindi un timer riportato sul display di un cellulare scandisce l’inesorabile avvicinamento della Morte, che si manifesta preventivamente attraverso incubi e visioni che spesso coinvolgono affetti famigliari e scheletri nell’armadio. Il buon utilizzo delle dinamiche orrorifiche care al linguaggio horror più moderno si unisce a una discreta caratterizzazione dei personaggi principali, soprattutto Quinn, che ha una tragedia nel suo recente passato che le condiziona ancora il presente e diventa il perfetto cavallo di troia per la presenza che la tormenta per manifestarsi.

In aggiunta, Justin Dec ha deciso di seguire l’ormai immancabile trend del “metoo” e ha inserito una sottotrama che vede la bella Quinn molestata e ricattata dal dottore (Peter Facinelli) dell’ospedale in cui lavora e che l’ha aiutata nel suo percorso professionale. Una backstory interessante perché aggiunge un carico da 90 alla situazione psicologica già instabile della protagonista e galoppa in maniera naturale la denuncia a casi di molestie sul lavoro ma non trova una giusta conclusione, sfociando nell’irreale e perfino nel patetico.

A garantire una dose (non richiesta) di risate ci sono due personaggi che stemperano la tensione con siparietti simpatici: il proprietario di un negozio di cellulari, esperto hacker e nerd impenitente, interpretato da Tom Segura, e un prete demonologo che ha il volto di P.J. Byrne, esaltatissimo per essere stato tirato in causa così da poter mettere in pratica i suoi studi. Momenti brillanti anche un po’ gratuiti ma perfettamente in linea con le ambizioni del progetto.

Da segnalare il look abbastanza riuscito e sufficientemente creepy del demone che affligge i personaggi e l’ottima presenza scenica di Elizabeth Lail che interpreta la protagonista Quinn Harris, volto che gli spettatori di Netflix già conosceranno perché co-protagonista della serie thriller You.

A metà dei titoli di coda c’è una scena bonus, se il film vi è piaciuto non uscite subito dal cinema!

Roberto Giacomelli

PRO CONTRO
  • Momenti di paura ben orchestrati.
  • Elizabeth Lail.
  • Il look del demone.
  • Sa di già visto in maniera eclatante.
  • I momenti comici potrebbero infastidire qualcuno.
  • La non riuscitissima gestione della tematica metoo.
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Valutazione: 6.0/10 (su un totale di 1 voto)
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