Duri si diventa, la recensione

Tra i più grandi talenti comici degli ultimi dieci anni, Will Ferrell ha iniziato a muovere i primi passi sulle scene grazie al Saturday Night Live, vera fucina di talenti comici d’oltreoceano. Ma il vero successo internazionale arriva con Zoolander nel 2001, dove interpretava il singolare villain Mugatu, momento in cui entra a far parte di quel gruppo di attori che la stampa ha ribattezzato Frat Pack e che comprende talenti del calibro di Ben Stiller e Owen Wilson. Da allora la carriera di Ferrell è stata un successo dietro l’altro, imponendosi come uno dei più richiesti e amati attori comici statunitensi.

Peculiarità di Ferrell è il taglio comico affidato molto alla sua capacità di porsi al centro di situazioni imbarazzanti, cucendosi addosso ruoli per lo più sgradevoli e negativi. Questa sua capacità ha fatto si che molti film fossero “salvati” dalla sua verve, dal suo talento, facendoci chiaramente intravedere un’esilità di fondo che avrebbe rischiato il baratro più nero solo se Ferrell fosse stato sostituito da un nome qualsiasi. È quello che accade con Duri si diventa, esordio alla regia dello sceneggiatore Etan Cohen (Tropic Thunder, Men in Black III), un film a misura di Ferrell come raramente era successo in maniera così eclatante.

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Il milionario James, neo socio di una società di fondi comuni d’investimento, viene accusato per frode fiscale e condannato a dieci anni di reclusione nel carcere di massima sicurezza San Quintino. Disperato e del tutto impreparato a una situazione di questo tipo, James decide di fare un training pre-reclusione nei trenta giorni che precedono la sua incarcerazione. Per riuscire assume Darnell, impiegato in un auto-lavaggio, ovvero il primo nero che gli capita davanti perché, secondo la sua logica statistica razzista, un nero su tre durante la sua vita va in prigione. Darnell, che in prigione però non c’è mai stato, ha bisogno di soldi e così si finge ex galeotto pronto a fargli da insegnante per sopravvivere in carcere.

Come si può facilmente prevedere dalla trama, il film offre un’innumerevole quantità di situazioni che valorizzano la comicità di Farrell, qui in un ruolo consono al suo “personaggio” ma allo stesso tempo differente da quello che ha fatto fino ad ora. James è sempre vissuto nel lusso e nell’agio, di buona famiglia, laureato ad Harvard e con un talento naturale per la finanza, si trova improvvisamente catapultato in una situazione che gli stravolge la vita. Costretto a difendersi da ipotetiche aggressioni e stupri, a sapersi adattare a condizioni scomode e a cibo di cattiva qualità, nonché istruito a schierarsi in gruppi etnici o ideologici, James ha poco tempo per diventare un’altra persona. Potete immaginare come tutto ciò generi situazioni comiche a iosa, che per lo più vanno a segno, fornendo momenti in cui la risata scoppia fragorosa.

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Anche la coppia Will Ferrell e Kevin Hart (che interpreta Darnell) funziona a dovere, ma Hart è la spalla e questo si nota nel momento in cui l’attore di colore si trova a recitare da solo, incapace di reggere realmente la scena.

Se Duri si diventa comincia nella migliore tradizione della commedia classista, con il bianco ricco e avido contrapposto al nero povero e furbetto ma di gran cuore, poi il film non si evolve come ci si aspetterebbe. Duri si diventa non è Una poltrona per due e l’originalità del soggetto è sfruttata a dovere, anche se tutto è concentrato sulla capacità del bianco ricco a diventare un nero povero (e delinquente). Il film di Cohen gioca in maniera intelligente con gli stereotipi di classe ed etnici, li mette alla berlina e cerca di imbandire un discorso che sia politicamente corretto pur viaggiando sui toni della commedia scorretta. A tal proposito, va segnalata una dose di volgarità piuttosto consistente che riesce a non avere sempre il risultato comico sperato: la lunga scena del “pompino”, per esempio, arriva così gratuita e sgradevole da non riuscire nell’intento di far ridere.

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Duri si diventa è un film a misura di Will Ferrell, soggetto interessante condotto in maniera non sempre convincente che risulta riuscito unicamente per la verve del protagonista. Se apprezzate il cinema del Frat Pack e l’ironia bizzarra di Ferrell, l’esordio di Cohen fa al caso vostro, altrimenti saltate a piè pari senza remore.

Roberto Giacomelli

PRO CONTRO
  • La simpatia di Ferrell regge l’intero film.
  • Alcune gag sono realmente portate a segno.
  • Se togliamo Ferrell, il film crolla.
  • Qualche eccesso di volgarità che non riesce a far ridere.
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Valutazione: 6.0/10 (su un totale di 1 voto)
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