Firestarter, la recensione

Come sappiamo, l’enorme successo riscosso dall’adattamento cinematografico di IT ha riacceso l’interesse delle majors nei confronti di Stephen King e delle sue opere, tanto i classici quanto i lavori più recenti; questo vuol dire, se si decide di mettere mano ai primi romanzi del “Re del Maine”, che c’è una buona possibilità di raccontare per immagini una storia che qualcuno aveva già portato al cinema (o in tv). È accaduto con IT, appunto, con Carrie, con Pet Sematary, a brevissimo con Salem’s Lot ed ora accade anche con Firestarter.

Il romanzo pubblicato per la prima volta nel 1980 – in Italia nel 1982 con il titolo L’incendiaria – è già stato trasposto al cinema nel 1984 con Fenomeni paranormali incontrollabili, una ricca produzione firmata da De Laurentiis, diretta da Mark L. Lester (quello di stracult come Commando e Classe 1999) e interpretata da Drew Barrymore e David Keith, che ha anche goduto di un sequel televisivo nel 2002, il pregevole L’incendiaria (Firestarter 2: Rekindled) di Robert Iscove.

Stavolta a raccontare la storia della giovane mutante con poteri di pirocinesi ci ha pensato la Blumhouse e questo è paradossale se pensiamo alla logica produttiva che sta dietro le opere che portano il marchio della “casa” di Jason Blum: piccoli film con piccoli budget. Anche Firestarter segue questo modus operandi, una delle storie più spettacolari di King del primo periodo, uno degli adattamenti cinematografici kinghiani degli anni ’80 più costosi. E invece il Firestarter della Blumhouse è un film compatto, piccolo, quasi con la logica di un indie, che omette (o ridimensiona) tutte le scene più spettacolari del romanzo per concentrarsi su una vicenda più intima, quella del disagio di una ragazzina che viene emarginata dalla società e non riesce a comprendere l’origine e lo scopo dei suoi incredibili poteri.

Firestarter ci racconta la storia di Charlene “Charlie” McGee, una bambina con capacità pirocinetiche, ovvero il potere di appiccare il fuoco e manipolarlo con il solo pensiero. Charlie è la figlia di Andy e Vicky McGee, anche loro dotati di poteri mentali, che ai tempi del college si sottoposero alla somministrazione di un farmaco sperimentale, il Lot-Six. Charlie è quindi la prima generazione “mutante” figlia del Lot-Six e per questo gli agenti dell’azienda farmaceutica, con agganci governativi, vogliono studiarla nonostante il rifiuto dei suoi genitori. Così Charlie e la sua famiglia sono costretti alla fuga e a tenere costantemente un basso profilo per non essere rintracciati. Ma quando Charlie scatena i suoi poteri a scuola, gli agenti la individuano e si mettono subito sulle sue tracce.

La prima cosa che balza all’occhio guardando il nuovo adattamento di Firestarter sono le grandi differenze in confronto al romanzo d’origine e al film del 1984. Lo sceneggiatore Scott Teems, già tra gli autori di Halloween Kills, infatti riparte direttamente dall’opera di King e fino a metà la rispetta con una certa fedeltà, più di quanto non avesse fatto Fenomeni paranormali incontrollabili. Da un certo punto in poi, invece, il nuovo film inizia un progressivo allontanamento dall’opera letteraria prendendo una strada alternativa anche se mirata a perseguire risultati simili.

Si tratta di un adattamento interessante, sicuramente dettato da esigenze di budget, ma capace di seguire più da vicino il personaggio di Charlie anche nella sua solitudine, svincolando la sua personalità da quell’aura angelica che caratterizzava invece il personaggio nella versione di Drew Barrymore. Qui Charlie è più realistica, si comporta davvero come una preadolescente reagendo (male) alle imposizioni dei genitori, ai sacrifici che le chiedono di fare per tenere un basso profilo, alle angherie dei compagni di scuola. Charlie è un “freak” e prende consapevolezza di questa sua natura fino ad utilizzarla a suo vantaggio, senza escludere la cattiveria di cui può essere capace un bambino.

Se la giovane protagonista, interpretata da una Ryan Kiera Armstrong molto convincente, è un enorme punto a favore di Firestarter, lo stesso non possiamo dirlo di Zac Efron che aveva dimostrato di sapersela cavare bene anche con ruoli drammatici in Ted Bundy – Fascino criminale, ma qui risulta completamente fuori parte. Sicuramente svantaggiato dalla scellerata scelta di ricorrere alla chirurgia estetica, che ne ha azzerato l’espressività facciale, Efron non appare mai “in character”, non sembra esserci chimica tra lui e la ragazzina così come il suo genitore protettivo e un po’ severo non risulta mai pienamente credibile.

Dietro la macchina da presa troviamo Keith Thomas che lo scorso anno aveva esordito con l’horror d’atmosfera The Vigil. Non riscontriamo particolari meriti registici, la mano di Thomas, alla seconda prova, non appare particolarmente riconoscibile e gli si può additare il merito di aver saputo condurre con il piglio minimalista (come lo era anche The Vigil) una storia su carta decisamente grande.

Curioso trovare il nome di John Carpenter (e di suo figlio Cody) come autore della colonna sonora con un riconoscibilissimo score tipicamente “carpenteriano”, curioso perché John Carpenter era stato la scelta iniziale per dirigere Fenomeni paranormali incontrollabili, poi licenziato per l’insuccesso commerciale riscosso da La Cosa. Una piccola rivincita per il grande regista di Fuga da New York!

Interessante e inevitabile, vista l’epoca cinematografica attuale, portare il personaggio di Charlie alla comparazione con un supereroe, in fin dei conti la somiglianza della sua storia con quella dei marveliani X-Men (compreso chi le da la caccia) conduce a un facile parallelismo, come d’altronde, era stato già fatto e in maniera più esplicita in Brightburn – L’angelo del Male, in piccola parte in Carrie versione 2013 e nell’indie-horror Freaks del 2018, che con questa nuova versione di Firestarter ha davvero molte cose in comune.

Firestarter di Keith Thomas è un fanta-horror strutturato con un efficace crescendo narrativo e di tensione che ha il suo punto forte nella giovane protagonista e l’evoluzione del suo personaggio, ma ha anche il difetto di non riuscire a innalzarsi al di sopra della massa, un prodotto medio, ben eseguito ma forse troppo anonimo per i nostri tempi. Paradossalmente, il film del 1984 rimane ancora oggi più iconico.

Roberto Giacomelli

PRO CONTRO
  • Riesce a ridimensionare con efficacia la portata della storia originale adattandola alle esigenze produttive.
  • Ryan Kiera Armstrong è molto brava e il suo personaggio credibile.

 

  • Zac Efron, completamente fuori parte.
  • Gli mancano elementi che possano renderlo memorabile. Alla fine, Fenomeni paranormali incontrollabili – che non era un film imprescindibile – rimane più iconico.
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