Lo Sguardo di Satana – Carrie, la recensione
Il plot di Lo Sguardo di Satana – Carrie è noto praticamente a tutti o, almeno, a tutti coloro che hanno amato prima il romanzo Carrie di Stephen King, datato 1974, e, poi, l’agghiacciante horror targato Brian De Palma (1976).
Carrie White (Chloë Grace Moretz) è un’adolescente solitaria e impacciata, vessata da una madre (Julianne Moore) bigotta all’inverosimile e psicologicamente disturbata e derisa crudelmente dalle compagne di scuola. Sue Snell (Gabriella Wilde) è l’unica a pentirsi sinceramente per gli orribili dispetti fatti all’introversa ragazzina, tanto da decidere di rinunciare al ballo di fine anno e convincere il suo ragazzo Tommy (Ansel Elgort) ad andarci accompagnato proprio da Carrie. Quest’ultima, che nel frattempo si è accorta di possedere strani poteri telecinetici, accetta titubante l’invito, ma non sa che qualcuno sta tramando alle sue spalle per rovinarle anche quell’unica serata felice…
Il remake di uno dei migliori adattamenti per lo schermo dei romanzi di King, diretto da Kimberly Peirce (Boys don’t Cry), è, nello sviluppo narrativo, in linea di massima fedele all’archetipo cinematografico, di cui ricalca precisamente persino diversi dialoghi.
E’ ambientato, però, ai giorni nostri, dove ogni cosa può essere immortalata da un banale smartphone, video di ogni tipo finiscono con disinvoltura su Youtube e le cattive ragazze sono bamboline lampadate e arroganti nei confronti dei professori.
Al posto dell’algida e fragile Sissy Spacek, a dare vita a Carrie c’è la giovanissima ma sempre più brava Chloë Grace Moretz (la tostissima Hit-Girl del cinecomic Kick-Ass), che si cimenta in un’interpretazione sicuramente valida e accurata, ma avente poco o nulla dell’inquietante pathos e della furibonda frustrazione di colei che sul grande schermo la precedette. Nei momenti cruciali dell’intreccio, infatti, la Carrie della Moretz fa pensare più a qualcuno dei celeberrimi supereroi che, da qualche anno, monopolizzano la settima arte piuttosto che a una creatura disperata e posseduta da forze demoniache. La sua vendetta, infatti, ha un metodo e segue un piano ben preciso; la consapevolezza di sé, a tal proposito, è senza dubbio la caratteristica principale che distingue la Carrie del 2014 da quella degli anni Settanta.
La coprotagonista Margaret White, madre di una figlia mai desiderata, è una donna sadica e pronta, al minimo pretesto, ad autopunirsi o a esplodere in violente escandescenze. Julianne Moore se la cava egregiamente nel ruolo che fu di un’indimenticabile Piper Laurie (senza scimmiottare affatto la performance di quest’ultima), portando in scena in modo più che convincente la cieca follia di una donna plagiata dalle sue stesse convinzioni sulla fede, il peccato e la salvezza.
Tuttavia, secondo chi scrive, l’evidente avvenenza e il largo seguito tra il pubblico delle due attrici penalizza l’efficacia delle rispettive interpretazioni e contribuisce a farle apparire molto meno spaventose e terribili di quanto dovrebbero.
Per quanto riguarda la messa in scena complessiva, prevale una banalizzazione e un’edulcorazione generale di tematiche, situazioni e personaggi, degni di un qualunque teen-movie e nemmeno dei migliori. Se, da una parte, è innegabile che, oggi, non sia sufficiente una ragazzina coperta di sangue che sposta gli oggetti col pensiero a impressionare una platea che non sia di giovanissimi, dall’altra, il massacro nella palestra della scuola – momento clou per antonomasia – è davvero orchestrato all’acqua di rose (sia nelle forma che nei contenuti) e la cornice pseudo apocalittica delle sequenze successive in strada di certo non giova a risollevare la situazione.
I comprimari, classici bulletti viziati o adulti spocchiosi, sono dimenticabili e privi di carisma, talvolta vagamente ridicoli. Fa eccezione soltanto Judy Greer, che interpreta Miss Desjardin, la protettiva e affettuosa insegnante di ginnastica dell’istituto che Carrie frequenta.
I nodi tematici principali – l’emarginazione, la solitudine esistenziale, la repressione – sono appena sfiorati e nulla apportano né in termini di coinvolgimento emotivo né di incremento della tensione.
Lo Sguardo di Satana – Carrie si lascia guardare senza difficoltà, in virtù della sceneggiatura scorrevole e di un buon ritmo narrativo; il film manca, tuttavia, di una decisa personalità e di quelle dosi di cattiveria e intensità drammatica necessarie a catturare l’attenzione di un pubblico adulto.
Il risultato è un teen-movie rassicurante e senza grinta, ad uso e consumo di ragazzini in cerca di facili emozioni che, avvicinandosi per la prima volta al soggetto, non avranno difficoltà ad apprezzare.
Lo Sguardo di Satana – Carrie è distribuito da Warner Bros. Pictures Italia e arriverà nei nostri cinema a partire dal 16 gennaio.
Chiara Carnà
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