Galveston, la recensione

Roy Cady è un poco di buono, un criminalotto al servizio di Stan, boss della malavita di New Orleans.

Roy Cady, inoltre, ha un male incurabile che lo sta lentamente uccidendo e fa di quel che resta della sua vita un continuo rimpianto per le scelte sbagliate prese.

Quando Roy riesce a sfuggire da un agguato ordito proprio dal suo capo per toglierlo di mezzo in quanto testimone scomodo, l’uomo trova finalmente un motivo per riscattare una vita fatta di violenza e malefatte. Infatti, Roy fugge con Rocky, una giovane prostituta finita anch’essa al centro del sanguinoso piano di Stan. I due si dirigono verso Galveston, in Texas, ma Rocky deve prima fare tappa a Orange per recuperare la sorellina Tiffany e regolare un conto in sospeso con il patrigno.

Storie di malavita e di riscatto, quante ne abbiamo viste al cinema? Tante, forse troppe e per colpirci e rimanere impresso nella nostra mente (e nel nostro cuore) oggi un film che tratta questi argomenti deve essere davvero speciale. Purtroppo non è il caso di Galveston, quinto lungometraggio diretto dall’attrice Mélanie Laurent, nota ai più per aver interpretato l’iconica Shosanna in Bastardi senza gloria di Quentin Tarantino.

Thriller/noir introspettivo che nasce da un romanzo di Nic Pizzolatto, Galveston ha fatto parlare di se più che altro per i problemi produttivi che hanno portato il creatore di True Detective a prendere le distanze dal film, che aveva sceneggiato ma poi si è rifiutato di firmare (lo Jim Hammett accreditato è proprio Nic Pizzolatto sotto pseudonimo) per divergenze creative con la stessa regista. Il risultato finale, a dire il vero, mostra in più di un’occasione la mano attenta dell’autore, sia per l’andamento riflessivo, i personaggi disillusi che hanno colpe da espiare e anche per i salti temporali che, in questo caso, ci mostrano le conseguenze delle azioni del presente. A questo va aggiunto uno stile di regia ricercato e, in alcuni casi, molto suggestivo, come per il piano sequenza che segue il protagonista nella sua fuga in macchina. Inoltre, ci sono due protagonisti che hanno la forte presenza scenica e la bravura di Ben Foster ed Elle Fanning.

Dunque, serviti questi elementi, cosa non ha funzionato in Galveston?

Paradossalmente è proprio la scrittura a non convincere.

Nonostante la preziosa (non) firma di Pizzolatto, si nota tantissimo che lo script è un ibrido di vedute distinte mal cucite tra loro. La storia sembra quasi costruita su episodi scollati tra loro, nessun personaggio tra quelli secondari ha un minimo di caratterizzazione, a cominciare dal villain (interpretato da Beau Bridges) di cui quasi ci si dimentica nell’arco dei 90 minuti che passano tra la sua prima comparsa e la resa dei conti finale. A questo aggiungete anche che il film non ha praticamente ritmo e nonostante sia chiaro l’interesse della Laurent per l’introspezione piuttosto che per l’azione, si arriva alla fine con fatica.

Non da meno, va considerato che Galveston racconta una storia e dei personaggi che davvero molte volte abbiamo già visto e sentito, con dinamiche risapute valorizzate giusto da un epilogo più nero del previsto. In fin dei conti, Galveston non è altro che una versione più autoriale di The Equalizer!

Quindi, cosa ci rimane a fine visione di questo film? Sicuramente una bella fotografia – cupissima – di Arnaud Potier e due bravi protagonisti che, però, non sono alle prese con personaggi sufficientemente forti da essere ricordati.

Roberto Giacomelli

PRO CONTRO
  • Regia interessante.
  • Bravi i due protagonisti.
  • Bella fotografia.
  • Ritmo inesistente.
  • Storie e personaggi risaputi.
  • Scrittura incerta.
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Valutazione: 5.5/10 (su un totale di 2 voti)
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Valutazione: +1 (da 1 voto)
Galveston, la recensione, 5.5 out of 10 based on 2 ratings

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