Hungry Hearts, la recensione

Ad ascoltare il regista Saverio Costanzo, il suo nuovo film Hungry Hearts ha come punto focale la condanna dell’ideologia. E per ideologia si intende qualsiasi credenza che si trasforma in dogma e che può portare ad effetti collaterali nefasti. In Hungry Hearts questo accade a Mia, una giovane madre che si autoconvince della necessità di crescere il proprio bambino isolato dal mondo, in una campana di vetro che ne mantenga intatta la purezza.

La donna ha bandito qualsiasi contatto con l’esterno, così come è ammesso solo cibo sano e di provenienza vegetale, per di più coltivato nella piccola serra che la stessa Mia ha creato in terrazzo. Ma così facendo la bambina non cresce in forza, anzi, a sentire il dottore, non cresce proprio, è denutrita e rischia di morire. Tutto ciò allarma Jude, il giovane padre, che comincia una battaglia contro la discesa nell’ossessione e nella follia della moglie.

Saverio Costanzo prende ispirazione per il suo film dal romanzo di Marco Franzoso Il bambino indaco e ne cambia radicalmente l’ambientazione, da Padova a New York, facendone un film molto personale che trova un ideale trait d’union con la sua opera precedente, La solitudine dei numeri primi, anch’esso tratto da un romanzo.

Tutto inizia con una storia d’amore, semplice, delicata, tra un americano e un’italiana, con una scena nel bagno di un ristorante tanto grottesca e assurda (non presente nel romanzo) che è impossibile non ricordarla nel tempo. Una gravidanza inattesa, un matrimonio lampo e il tono del film cambia radicalmente: da commedia si passa al dramma, sempre più pesante e opprimente.

E con il cambio di tono ci accorgiamo come il film di Saverio Costanzo scricchiola qua e la.

5

Fermo restando che abbiamo a che fare con un film altamente personale e che ha una visione d’autore apprezzabile per coerenza nel percorso che il giovane regista ha intrapreso, Hungry Hearts è altamente imperfetto, a cominciare da una cattiva scansione narrativa della storia.

Il film può essere idealmente diviso in tre tronconi: la fase iniziale della conoscenza tra i due protagonisti, irrimediabilmente idilliaca, la fase centrale con la discesa nell’incubo, la fase finale con il climax e risoluzione della vicenda. La prima e l’ultima fase sono brevissime, quella centrale, invece, inutilmente diluita. Se sulla conoscenza tra Mia e Jude, in effetti, si può procedere con velocità senza perdersi in chiacchiere e andare diritti al punto, la conclusione non può essere liquidata così come la vediamo nel film. Talmente frettolosa e soprattutto priva di quella carica drammatica che la storia esige.

Contro questa cattiva gestione narrativa rema anche la durata del film, quasi due ore mal calibrate in cui si tende troppo alla ripetitività, con eventi mostrarti più volte senza che aggiungano informazioni a ciò che lo spettatore ha già appreso.

Ci ritroviamo, dunque, a guardare un film che avrebbe necessitato di una maggiore attenzione nella stesura della sceneggiatura, inutilmente prolisso, che finisce, irrimediabilmente, nel far tirare allo spettatore qualche sbadiglio.

6

Di buono c’è indubbiamente la tecnica registica di Costanzo, molto più talentuoso dietro la macchina da presa che allo script, che riesce a fare tesoro dei limiti imposti dalla produzione: gli scarsi mezzi che hanno portato alla realizzazione del film in pellicola 16mm lo fanno apparire come un film indipendente europeo anni ’90, il che non è sempre un pregio (esteticamente Hungry Hearts non è il massimo), ma ne accentua la sensazione di disagio che la storia vuole trasmettere. Disagio rimarcato anche dall’utilizzo frequentissimo del grandangolo, che se da una parte serve a dilatare gli spazi esigui in cui giravano il film, dall’altro dona uno sguardo allucinato e distorto sulla vicenda, come quello della protagonista Mia.

Il film è totalmente affidato ad Alba Rorhwacher, compagna nella vita del regista, e all’americano Adam Driver, recentemente visto in Tracks – Attraverso il deserto e tra i protagonisti di Star Wars: Il risveglio della Forza. I due attori, quasi unici in scena, hanno vinto entrambi la Coppa Volpi come migliore interpretazione alla Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia 2014 e danno una prova convincete anche se non eccelsa, forse più godibile in lingua originale piuttosto che con il mediocre doppiaggio italiano.

Hungry Hearts va visto e giudicato, sicuramente colpisce e può generare un’impressione differente in base allo stato d’animo con cui si entra nel cinema. Se si intraprende la visione con la mente libera e neutra, potrebbe però apparire pesante e perfino noioso. Astenersi donne incinte e neo mamme.

 Roberto Giacomelli

PRO CONTRO
  • Ben diretto e capace di trasformare in virtù gli aspetti negativi della produzione.
  • Si respira un’aria opprimente che ben si lega con l’argomento del film.
  • Narrativamente mal calibrato, soprattutto per il finale eccessivamente frettoloso.
  • Il doppiaggio italiano.
  • Avrebbe meritato una sforbiciata nella parte centrale.
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Valutazione: 6.0/10 (su un totale di 1 voto)
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Hungry Hearts, la recensione, 6.0 out of 10 based on 1 rating

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