I Predatori, la recensione
Pietro Castellitto, classe 1991, figlio del noto attore/regista Sergio Castellitto e della scrittrice Margaret Mazzantini esordisce al cinema come attore nel 2004, all’età di 13 anni, diretto dal padre in un piccolo ruolo in Non ti muovere, finché nel 2012 riesce a guadagnare il ruolo da protagonista in È nata una star? di Lucio Pellegrini. Una strada nel cinema praticamente già spianata, ma il giovane Castellitto non si dice troppo soddisfatto, dichiarando che a lui, di recitare, in fin dei conti non interessa granché, non si sente attore, forse non è neanche troppo bravo come interprete, a lui quello che interessa maggiormente è scrivere! Sceneggiature, libri… ma soprattutto sceneggiature ed è per questo che all’età di 22 anni mette la parola “fine” su uno script che a distanza di sette anni è diventato un film, tra l’altro per la stessa regia di Pietro Castellitto, prodotto da Fandango. Parliamo de I Predatori, premio alla sceneggiatura nella sezione Orizzonti di Venezia77, che lo stesso Castellitto ammette di essere in (piccola) parte autobiografico e che mai sarebbe riuscito a realizzarlo se non avesse prima tastato il mondo del cinema come attore.
I Predatori si apre sull’aria, quella generata dalle pale eoliche, quella mossa dal rumore delle auto che sfrecciano (invisibili) sulla tangenziale, quella che si trasforma in vapore di una sigaretta elettronica ostentata con sicurezza da un uomo dal sorriso irresistibilmente strafottente che si appresta a truffare un’adorabile vecchietta che lo fa entrare incautamente nel suo appartamento. Un’evanescente staffetta che suggerisce l’inconsistente peso dell’esistenza, ma non quell’esistenza al centro del dibattito filosofico che tanto affascina lo sfigatissimo protagonista del film, ma quell’esistenza grottesca che ci suggerisce quanto può essere dannatamente stronza la vita e subdola nell’interconnettere tra loro particelle che altrimenti mai si sarebbero scontrate.
Non fraintendetemi, I Predatori non è un film “d’impegno intellettuale”, non mira neanche lontanamente ad esserlo, ma è una commedia grottesca che si tinge a più livelli di satira sociale e di melanconico dramma; è un film a tratti ingenuo ma incredibilmente divertente, pungente, ricco di idee.
Seguiamo la vita di due famiglie nell’Italia odierna: gli altoborghesi Pavone e proletari destrosi Vismara. I primi sono composti da padre medico, madre regista cinematografica e figlio laureato in filosofia e assistente rancoroso di un baronetto della Sapienza. I secondi, invece, sono due fratelli gestori di un’armeria e invischiati nella malavita laziale, con mogli a carico e figli apatici, uno dei quali dodicenne addestrato al poligono nell’utilizzo delle armi da fuoco. Per un evento fortuito, le due famiglie che nulla hanno a che spartire tra di loro vengono in contatto e Federico Pavone chiede a Claudio Vismara di procurargli una bomba per portare a termine un folle piano di vendetta e riscatto. Le conseguenze saranno assurdamente tragiche.
Affidandosi moltissimo alla scrittura, Pietro Castellitto, che interpreta anche il ruolo del nevrotico Federico, riesce a costruire un mosaico di vite abbastanza complesso che cerca una quadratura del cerchio in un fitto intreccio di eventi in cui ogni cosa è collegata e nulla lasciato al caso. Con una narrazione circolare, prendiamo le parti dell’una e dell’altra famiglia, negli eccessi quasi da fumetto che compongono la loro quotidianità: dalle idiosincrasie radical-chic dei Pavone, ai problemi più concreti ma generati dall’ignoranza dei Vismara. Castellitto non ha mai la pretesa di realismo, i suoi personaggi si affidano in più di un’occasione allo stereotipo però estremizzato e portato a una soglia di sopportazione limite, fino all’esplosione in situazioni così grottesche e paradossali da sembrare uscite fuori da un cartoon per adulti.
I Predatori punta il dito verso l’ipocrisia di una élite marcia fino al midollo, mettendo alla berlina quei personaggi di un certo ambiente borghese romano che solitamente sono al centro di molto cinema italiano odierno, allo stesso tempo ride dei coatti fascisti, della loro stupidità, ma lo fa con un’ambigua accondiscendenza che li porta a battere un percorso di crescita tale da trasformarli nei personaggi positivi della vicenda. C’è una voglia ingenua di provocazione ne I Predatori che fa simpatia e si traduce in un’opera divertente, divertita che urla libertà espressiva: un po’ la ritroviamo già in questa opera prima di Castellitto Jr., anche se a tratti si notano discrepanze dettate dall’esigenza di voler dimostrare qualcosa, quanto si valga. Esercizio di stile, manierismo acerbo, senz’altro, ma anche tante idee che vanno subito a segno.
E poi ne I Predatori c’è un cast eccezionale di volti poco noti, utilizzato con intelligenza e coraggio. Se Massimo Popolizio è il “veterano” del cast, un professionista sempre affidabile, in piccoli ruoli troviamo anche Vinicio Marchioni, Anita Caprioli, Nando Paone oltre allo stesso Pietro Castellitto; ma il resto degli attori non sono troppo famigliari al grande pubblico. Tra loro si distinguono senza dubbio Giorgio Montanini e Manuela Mandracchia, diversi anni luce nel modo di recitare e nei personaggi che interpretano, ma efficacissimi nel trasmettere l’empatia e l’apatia che i loro ruoli sono chiamati a trasmettere. Menzione particolare per Dario Cassini, noto cabarettista a cui è affidato uno dei personaggi più complessi e completi del film, gestito perfettamente.
Insomma, I Predatori può essere visto come l’altra faccia della medaglia di Favolacce, la faccia maleducata e cinica, un film fortemente critico verso quella generazione di adulti incapaci di assimilare e trasmettere valori, pessimi esempi di vita per le generazioni future e vero punto di non ritorno per una società destinata a un (non troppo) lento declino.
Roberto Giacomelli
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