La Belle Époque, la recensione
Storicamente parlando, con l’espressione “belle époque” possiamo definire quel periodo che va dall’ultimo ventennio dell’800 fino ai primi quindici anni del ‘900, ovvero finché non scoppiasse la Prima Guerra Mondiale, localizzando il centro del un fermento culturale e tecnologico nella capitale francese. Idealizzazione nostalgica di un periodo fiorente per la Parigi dell’epoca, ma anche di altre capitali europee in una manciata di anni in cui l’arte e la scienza avevano notevolmente alzato gli standard di benessere e culturali della classe borghese. Una valutazione retroattiva, ovviamente, coniata quando la povertà e la guerra avevano lasciato molti di quei luoghi in cumuli di macerie, sedati da morte e disperazione.
La belle époque è anche il titolo del nuovo film di Nicolas Bedos, figlio d’arte, attore, sceneggiatore e regista teatrale, televisivo e già alle prese con il cinema con la commedia Un amore sopra le righe (2017). Ma La belle époque è anche il nome del café in cui il personaggio principale della storia decide di tornare nella ricostruzione della realtà di cui è protagonista. Così la “belle époque” si tinge di una doppia valenza, di luogo fisico e simbolico, rappresentazione soggettiva di un’epoca felice, ideale e idealizzata.
Infatti, al centro del racconto c’è l’agenzia Time Traveller specializzata nella ricostruzione su commissione di momenti, epoche, situazioni. Presieduta da Antoine, scontroso regista con gamba offesa, la Time Traveller, dietro lauto pagamento, consente ai clienti una meticolosa ricostruzione d’epoca grazie a un folto corpo attoriale, un teatro di posa ed effetti scenici cinematografici. In pratica: il cliente chiede di poter rivivere per un lasso di tempo variabile un momento storico (vicino o lontano), che possa essere un aperitivo con Hemingway o una riunione al tavolo di Hitler, oppure un episodio specifico della propria vita come un ultimo giorno insieme a una persona cara che non c’è più.
Il protagonista della nostra vicenda è Victor, un fumettista disilluso in profonda crisi con sua moglie Marianne. I due non vivono più insieme, lei va a letto con François, migliore amico di Victor, senza che lui batta un ciglio, e gli unici momenti per rivedersi sono le sporadiche riunioni di famiglia con i parenti. Proprio in un’occasione come questa, il figlio di Victor e Marianne decide di regalare al padre un’esperienza con la Time Traveller. Prima diffidente, Victor si lascia convincere e sceglie come momento da rivivere il suo primo incontro con Marianne, nel 1974 a Lione, nel café La belle époque. Antoine organizza la ricostruzione nei minimi dettagli utilizzando ricordi, appunti e disegni di Victor e affida alla bella Margot, che ha avuto una storia con lui, la parte di Marianne da giovane. Le complicazioni sussistono quando Victor comincia a infatuarsi proprio di Margot…
Presentato fuori concorso al Festival di Cannes 2019 e inserito nella sezione “Tutti ne parlano” della 14^ Festa del Cinema di Roma, La belle époque sta vivendo in questi mesi di una grande popolarità sia di pubblico che di critica. Essenzialmente si tratta di un’evidente boccata d’aria fresca per il settore della dramedy francese, che negli ultimi 10 anni almeno è stata inglobata da logiche produttive talmente serrate e schiave del crescente successo commerciale del genere tanto da creare un reale sovraffollamento di titoli, con la conseguenza di un fisiologico calo di qualità dei film. In seguito al grande successo di Quasi amici, infatti, il cinema francese ha sfornato un numero ragguardevole di opere capaci di trattare tematiche impegnate con la leggerezza della commedia e, ancor più spesso, commedie romantiche votate al disimpegno sempre meno originali. In un panorama così saturo, un film di innegabile qualità come La belle époque fa la figura del leone stagliandosi ben al di sopra di tanta mediocrità.
Ma non è solo una questione dettata dal confronto, il film scritto e diretto da Nicolas Bedos si fa forte di un ottimo concept e di uno script sagace. Quindi la bella idea dell’occasione ultima per essere felici si unisce a una costruzione dei personaggi molto brillante e un innesco/evoluzione delle situazioni sempre coerente con il tono dolce/amaro del film. L’espediente – anche abbastanza fantasioso – del Time Traveller dà modo al regista di trattare il tema della solitudine, delle occasioni perse, delle fantasie segrete, mettendo di fatto alla berlina le debolezze dell’essere umano. In questo scenario che è quasi un The Truman Show consapevole, si muovono personaggi per lo più cinici, scontrosi, delusi della vita, come Victor e Antoine. Il primo, interpretato da un magnifico Daniel Auteuil, vive male il suo presente adagiato su una serie di scelte sbagliate che in più occasioni si traducono come mancata adeguatezza al tempo che scorre. Il suo più grande cruccio, ovviamente, è la relazione andata male con Marianne (Fanny Ardant) che può rivivere nel pieno della giovinezza e dei tempi rimpianti proprio grazie all’artificiosità del Time Traveller, sevizio che lui sottovaluta ma, in fondo in fondo, desidera più di ogni altra cosa nella sua riuscita. E l’evocazione certosina che porta a un’infatuazione per la “nuova” Marianne (interpretata da una bellissima Doria Tillier) è il coronamento di quel suo sogno intrappolato nel passato. Così come stagna nei tempi ormai passati anche il fare scontroso di Antoine (Guillaume Canet, uno dei migliori attori francesi della sua generazione), che non riesce ad accettare la storia ormai conclusa con Margot e utilizza questo suo rancore per farsi del male, ingaggiando la donna e mettendola in situazioni scomode.
La belle époque racconta l’ossessione per i tempi andati, la difficoltà di andare avanti, il gioco masochistico proprio dell’uomo di fossilizzarsi su ciò che non si può (più) avere. Nicolas Bedos, che ha ricalcato Antoine palesemente su se stesso, trova un modo ai suoi personaggi di cambiare, non vi diciamo se in meglio o in peggio, ma quel sapore un po’ beffardo che si gusta durante tutto il film rimane in bocca dello spettatore anche a fine visione, a dimostrazione che La belle époque non lascia indifferenti.
Roberto Giacomelli
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