La Madre, la recensione
Un uomo, dopo aver ucciso la moglie, prende le due figliolette e fugge nel bosco in auto. Il veicolo però esce fuori strada e l’uomo si vede costretto a trovare riparo con le bambine in una baita abbandonata. Ma qualche cosa spunta dal buio e uccide l’uomo. Per cinque anni non c’è nessuna traccia delle bambine scomparse nel bosco, ma lo zio Lucas non si è mai dato per vinto e insieme alla compagna Annabel ha messo su un team di ricerca per ritrovare Victoria e Lilly. Un giorno, finalmente, le due bambine vengono ritrovate miracolosamente vive, anche se sporche, malnutrite e inselvatichite. Lucas si offre di fare loro da tutore, anche se Annabel non è troppo entusiasta dell’idea, ma qualcuno, forse un essere soprannaturale, segue le bambine nella nuova casa, lo stesso essere che in questi cinque anni le ha protette e nutrite e che dimostra di essere particolarmente possessivo verso le “sue” bambine.
“L’amore di una madre è per sempre”, recita con efficacia empatica la tagline del film La Madre (Mama, in originale), inquadrando immediatamente qual è il tema portante del film: l’amore materno. Tutti noi sappiamo quanto sia importante per la formazione di un bambino la presenza dei genitori e il rapporto che tessono con loro, della madre, poi, non ne parliamo, figura topica per l’assunzione di un imprinting filiale fondamentale per le prime fasi formative dell’individuo. Ed è curioso notare il modo in cui il cinema – e il cinema dell’orrore in particolare – si sia sempre impegnato a definire il rapporto genitori/figli e soprattutto madri/figli in maniera particolarmente approfondita. Che si tratti di madri degeneri che soffrono della Sindrome di Medea o amorevoli genitrici che farebbero di tutto per proteggere la prole, il cinema ne è pieno: affettuose, possessive, malvagie, gelose, libertine, protettive. Queste sono le madri.
Andy Muschietti, giovane regista argentino di spot pubblicitari che oggi è tra i nomi di punta della Warner Bros. (It Capitolo Uno, It Capitolo Due, il prossimo The Flash), nel 2008 dirigeva e scriveva, insieme alla sorella Barbara, un cortometraggio di appena 3 minuti intitolato Mamà (potete visionarlo a questo link) che già l’esplicativo titolo vuole inquadrare come una singolare interazione tra madre e figlie, solo che in questo caso la madre è uno spaventoso fantasma che dà la caccia alle bambine dentro la loro abitazione. Da questo brevissimo ma inteso cortometraggio, Guillermo Del Toro ha voluto trarre un lungo, trovando delle terrificanti potenzialità nel lavoro di Muschietti. Del Toro ci ha visto lungo perché il film, che è stato affidato allo stesso regista del corto, ha riscosso ottimi risultati al botteghino e ha collezionato una serie di critiche positive che l’hanno reso un po’ l’horror rivelazione del 2013.
In La Madre, Muschietti, che ha collaborato anche alla scrittura sempre insieme alla sorella e allo sceneggiatore televisivo Neil Cross, è riuscito a inserire tutte quelle sfaccettature dell’amore materno di cui si parlava prima, costruendo una storia completamente nuova che ingloba il corto originario in una scena clou inserita nella seconda metà del film. La madre del titolo è così “genitrice” amorevole e protettiva, grazie alla quale due bambine riescono a sopravvivere tra le insidie del bosco per ben cinque anni, ma è anche morbosamente possessiva e gelosissima, tanto da arrecare danno a chiunque osi portarle via i suoi tesori, nonché spietata assassina perché pronta alla morte purché questo le consenta di stare vicina ai suoi cari. Riunendo in un unico riuscitissimo personaggio tutte le sfaccettature – positive e negative – che una madre può possedere, Muschietti ha dato vita a una “boogeywoman” spaventosa e complessa che sicuramente non lascerà indifferenti gli spettatori.
Se le motivazioni di questo “mostro” – impersonato dall’attore Javier Botet, che dava corpo anche al “boss finale” di [REC] – possono ricordarci quelle della Dama in nero del contemporaneo The Woman in Black, il suo inquietante look invece, che il regista dice ispirato ai dipinti di Modigliani, è un misto tra la Fata Dentina di Al calare delle tenebre e la Kayako della serie The Grudge, apparendo come una potenziale icona per il cinema horror. Dall’horror orientale, poi, Muschietti prende davvero molto e non solo per l’iconografia del fantasma, visto che molte volte il suo modo di apparire e muoversi ricorda proprio il j-horror che ha imperversato sugli schermi di mezzo mondo qualche anno fa e la macchia di muffa sul muro, che funziona da portale per la Madre, arriva direttamente dal Dark Water di Hideo Nakata.
Nulla di nuovo al chiaro di luna, direte voi, e in parte è vero, visto che La Madre spesso e volentieri sguazza nei cliché e in una certa familiarità iconografica dell’orrore cinematografico, eppure il film di Muschiatti ha mordente, coinvolge e rimane ben scolpito nella mente dello spettatore. Si nota la mano di Del Toro che pur limitandosi alla produzione esecutiva forse ha influenzato più del dovuto l’operazione. La Madre ha infatti quell’impostazione da fiaba dark che contraddistingue molti film del regista de Il labirinto del fauno e La forma dell’acqua e anche alcune sue produzioni (The Orphanage e Non avere paura del buio), legando fortemente la storia alla dimensione infantile e mettendo i bambini al centro della vicenda. In questo caso specifico abbiamo due sorelline, Victoria e Lilly, interpretate dalle bravissime Megan Charpentier e Isabelle Nélisse, che da tradizione fiabesca si avventurano nel bosco, entrano nella casetta “di marzapane” e incontrano la strega. Solo che stavolta la strega, anche se potenzialmente terrificante agli occhi di un bambino, non vuole ucciderle o mangiarle, bensì proteggerle e crescerle. È l’istinto materno a prevalere, quell’istinto represso e negato che caratterizza il personaggio della Madre e che porterà a inevitabili conseguenze drammatiche, con un toccante epilogo che punta diritto ai sentimenti dello spettatore.
Ma La Madre ha anche un’altra anima che si discosta da quella più propriamente deltoriana e che riguarda l’iter psicologico e umano che devono affrontare le due bambine e la zia acquisita Annabel. Le bambine ci vengono mostrate all’inizio come uscite da un romanzo di Jack Ketchum, due creaturine animalesche che si muovono velocemente a quattro zampe, ringhiano, mordono e graffiano. Se per Victoria è più semplice tornare alla civiltà, per la più piccola Lilly è una vera odissea educativa e per lei – che dorme per terra e mangia come un animale – solo la figura della Madre è sinonimo di sicurezza e allegria. Per Annabel, che è interpretata da una sempre magnifica Jessica Chastain, è dura trovarsi all’improvviso a fare da genitrice, lei che suona in una rock band e quando vede il test di gravidanza negativo tira un sospiro di sollievo.
In mezzo a tutto questo c’è un’ottima gestione della tensione, con tantissimi momenti di efficace spavento e una buona tenuta dell’atmosfera, che fa sua una costante e opprimente aria funerea.
Le uniche critiche possono essere rivolte a un uso a tratti invasivo della computer grafica e un’eccessiva ostentazione del “mostro” nella seconda parte del film che, seppur ben realizzato, funziona meglio quando rimane nell’ombra.
Roberto Giacomelli
PRO | CONTRO |
La storia punta molto sull’empatia e le emozioni che miste all’orrore creano un connubio davvero riuscito. | C’è molta CGI e il villain è mostrato più del necessario. |
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