Non avere paura del buio, la recensione

La piccola Sally è appena arrivata all’aeroporto per andare ad abitare con il padre Alex e la sua nuova compagna Kim. Lui è un restauratore di vecchi immobili, lei un’arredatrice d’interni e insieme hanno appena concluso la sistemazione di una vecchia magione vittoriana in cui abiteranno in vista di una futura vendita. Sally però è triste e nel suo gironzolare nei pressi della casa trova uno scantinato rimasto isolato dal resto della casa da una porta murata; qui la ragazzina libera delle strane creature che le chiedono insistentemente di giocare con loro. In realtà le creature, che infestano l’abitazione da secoli, hanno intenzioni molto ostili e sono ghiotte di denti e ossa di bambini.

Guillermo Del Toro, nuovo guru del cinema fantastico, ha caldeggiato per molto tempo l’idea di poter realizzare una nuova versione di Don’t Be Afraid of the Dark, film per la tv diretto da John Newland nel 1973. Sembra, infatti, che il regista messicano, particolarmente affezionato al film del ’73, abbia cominciato a mettere mano a questo remake già nella seconda metà degli anni ’90, quando cominciò a lavorare con la Miramax/Dimension. In principio fu una semplice sceneggiatura, che rimase in stallo fino al 2009, quando Del Toro ricevette la giusta spinta da parte del produttore Mark Johnson per rimettere mano al progetto. Del Toro però si riservò il ruolo di co-produttore e sceneggiatore (insieme a Matthew Robbins), lasciando la regia a un esordiente, che fu scelto nella persona del fumettista Troy Nixey, dal quale la produzione fu colpita per il corto fantasy Latchkey’s Lament.

Non avere paura del buio

Questa è la genesi di Non avere paura del buio, affascinante horror che ci riporta a un immaginario infantile consolidato, ma lo fa con una freschezza narrativa che colpisce positivamente per un prodotto datato 2010. Colpisce sia perché trattasi di remake neanche troppo distante dall’originale, sia perché negli anni in cui è uscito si stava un po’ abusando di storie che riportano l’horror dentro le quattro mura domestiche, con fantasmi e demoni a spaventare come da tradizione più classica. Non avere paura del buio, invece, fa propri tutti i topoi e i clichés del caso ma li rielabora in funzione di un film che fondamentalmente parla d’altro, di solitudine e crudeltà. Non mancherà, dunque, l’importanza fondamentale svolta dalla magione vittoriana dei Blackwood, che di fatto non è solo luogo degli eventi, ma personaggio anch’esso, capace di raccontare un terribile passato che emerge dalle crepe, dai cunicoli e dai misteri sepolti nelle intercapedini dell’edificio.

Non avere paura del buio

Nixey, che proviene dal mondo dei fumetti, dona al film uno stile visivo molto ancorato al suo mondo grafico darkeggiante, che predilige sempre e comunque immagini ombrate (ogni angolo della casa è poco illuminato per favorire l’azione delle creature), luce tenue (la lampada a carillon) e un tono dimesso e autunnale (il manto di foglie secche che circonda la magione Blackwood) particolarmente coerente con la storia narrata.

Su tutto aleggia naturalmente l’impronta ben riconoscibile di Del Toro che ci mette del suo e si vede. Per certi aspetti Non avere paura del buio ricorda Il labirinto del Fauno e non solo perché c’è una bambina in un momento topico della sua vita come protagonista e un labirinto nel giardino in cui rifugiarsi dai problemi. Nel film di Nixey si respira un’aria fiabesca come in gran parte delle opere di Guillermo Del Toro, c’è un chiaro riferimento alla tradizione fantastica fatta di fate, folletti e gnomi e il modo quasi gollumiano di esprimersi delle creaturine rimanda a un immaginario favolistico infantile ben consolidato.

Non avere paura del buio

I mostri di Non avere paura del buio non fanno paura come potrebbe farla un Freddy Krueger prima maniera, anzi risultano più che altro fastidiosi e petulanti. Ma è proprio questo l’intento! Le “fatine” del film devono catturare la curiosità dei bambini, farseli compagni di giochi, in modo da poterli colpire nel modo più semplice e divorarne denti e ossa. In questo le “fatine” potrebbero richiamare l’archetipo narrativo dell’amico immaginario infantile e la sceneggiatura del film ce lo suggerisce nell’insistere sulla mancanza di fiducia che gli adulti hanno riguardo le storie di Sally, su cui gravano accuse date dalla sua condizione di bambina estremamente introversa. Fortunatamente, però, anche sotto questo aspetto Non avere paura del buio segue una strada personale e piuttosto che concentrarsi sull’abusato stereotipo dell’amico immaginario legato all’uomo nero o (più recentemente) al fantasma, concretizza il tutto in questi mostriciattoli che sono minaccia reale, letale e dal sapore retrò (impossibile non farsi tornare alla mente i demonietti di Non aprite quel cancello e di Subspecies – Vampiri), seppur realizzati – molto bene – in computer grafica.

Non avere paura del buio

Non mancano in Non avere paura del buio quei due o tre momenti da spavento assicurato e il cast convince, a cominciare dalla piccola Bailee Madison (all’epoca reduce di Mia moglie per finta ma più recentemente vista cresciuta in The Strangers: Prey at Night) e da una ritrovata Katie Holmes, che primeggiano su un po’ anonimo Guy Pierce.

Una bella sorpresa per un horror un po’ fuori dagli schemi, capace di creare atmosfera e stuzzicare la fantasia con suggestioni tipicamente legate al mondo dell’infanzia.

Roberto Giacomelli

PRO CONTRO
  • Ha delle belle atmosfere e una location suggestiva e funzionale alla storia.
  • Le creaturine sono un villain atipico e affascinante.
  • Brava la piccola protagonista e convincente Katie Holmes.
  • Fa propri un po’ troppi cliché dell’horror infantile.
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Valutazione: 7.0/10 (su un totale di 1 voto)
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