Occhiali neri, la recensione del thriller di Dario Argento

Analizzare la filmografia di Dario Argento degli ultimi vent’anni è una delle imprese più sconfortanti che possano capitare a chi il cinema del Maestro lo ama davvero, lo ama e sa valutarlo con spirito critico che esula, quindi, dalle sterili prese di posizione da fan boy o da hater della domenica pomeriggio. Sicuramente non è questo il luogo e il momento per portare avanti quest’analisi, che ha visto il profondo e repentino decadimento nella carriera di un artista immenso, un artista che fin dal primo film, più di cinquant’anni fa, è stato capace di rivoluzionare il linguaggio narrativo e la tecnica del cinema thriller ponendo dei paletti ben precisi sul “prima” e “dopo” Dario Argento.

Un artista giustamente celebrato e apprezzato in tutto il mondo e nelle cui mani, per un buon ventennio, si sono incentrate le sorti del cinema di genere (thriller e horror) italiano. Dopo Nonhosonno, nel 2001, la carriera di Argento si è come impantanata e ad esclusione della felice parentesi americana dei due episodi di Masters of Horror a lui affidati, non è più riuscito a risalire. Pantano in cui, ci duole dirlo, annaspa anche nella sua ultima fatica, il ritorno al thriller puro con Occhiali neri.

Nata a metà degli anni ’90, quando Dario Argento collaborava con il produttore Vittorio Cecchi Gori, la sceneggiatura di Occhiali neri porta la firma dell’allora fido collaboratore di Argento Franco Ferrini, dalla cui sinergia di scrittura sono nati grandi film come Phenomena e Opera, ma anche il dittico di Dèmoni, Due occhi diabolici, Trauma, La sindrome di Stendhal e Nonhosonno. Lo stesso Dario Argento ci ha raccontato (qui l’intervista) che Occhiali neri doveva essere prodotto da Cecchi Gori una ventina di anni fa ma che il fallimento della sua società di produzione ha fatto si che lo script del film finesse nel fondo di un cassetto. Dallo stesso cassetto, un paio di anni fa, Asia Argento ha ritrovato la sceneggiatura di Occhiali neri mentre cercava documenti per la sua autobiografia, una sceneggiatura che lei ignorava completamente e di cui si è subito innamorata spronando il padre a metterci nuovamente mano. La stessa Asia Argento si è ritagliata un importante ruolo co-produttivo e un piccolo ma essenziale ruolo da attrice nel film che ha visto repentinamente luce nel periodo pandemico fino ad arrivare, fuori concorso, al 72° Festival di Berlino e dal 24 febbraio 2022 nei cinema italiani distribuito da Vision Distribution.

Sembra una bellissima storia con un lieto fine, vero? Eppure, a guardare Occhiali neri pare che più di qualcosa non ha funzionato.

Che il Dario Argento che ha rivoluzionato il modo di fare cinema del brivido sia sostanzialmente cambiato è ormai un dato di fatto; probabilmente si tratta di una scelta stilistica personale che rinuncia alle affascinanti evoluzioni di macchina, alle coreografie elaborate delle uccisioni, allo sguardo schizofrenico della m.d.p., il tutto a favore di una normalizzazione e linearità tipiche di chi ha già dato il meglio di se e sente il bisogno di recuperare fiato. Però questa normalizzazione si traduce ormai troppo spesso in goffaggine, in regressione, una mediocrità che accetteremmo e giustificheremmo se dietro la macchina da presa ci fosse un giovane esordiente che si è fatto le ossa nel cinema indipendente, ma che ci lascia basiti al pensiero che è Dario Argento. Dario Argento, capite? L’autore di capolavori come L’uccello dalle piume di cristallo, Profondo Rosso, Suspiria e Inferno, un regista che fino a un ventennio fa apriva il suo film con una sequenza elaborata, piena di tensione e magistralmente diretta come quella sul treno in Nonhosonno. È questo che stringe in una morsa il cuore di chi con questo cinema c’è cresciuto e ora si trova seduto in sala, pieno di passione e speranza, a guardare Occhiali neri.

In Occhiali neri seguiamo le (dis)avventure di Diana, una escort che finisce nel mirino di un serial killer di prostitute. Durante la fuga dal suo aggressore, la ragazza causa un incidente automobilistico in cui perdono la vita due persone ma rimane miracolosamente illeso Chin, un bambino di origini cinesi figlio delle vittime. Nello stesso incidente Diana perde la vista e, nonostante le difficoltà del caso, decide di prendersi cura di Chin portandolo via di nascosto dall’istituto a cui era stato affidato. Ma l’assassino non ha di certo abbandonato l’idea di uccidere Diana e per la ragazza, supportata dal bambino, sarà una lotta per la sopravvivenza.

Soggetto semplice e accattivante, costruzione lineare, pochi attori in scena e una dimensione temporale e spaziale che, da metà film in poi, diventa unica. Cosa può andare storto?

Innanzitutto, la scelta della protagonista. Ilenia Pastorelli, David di Donatello per Lo chiamavano Jeeg Robot, si sta facendo strada nel mondo del cinema italiano soprattutto come caratterista, percorso che la sta premiando come comprimaria (soprattutto comica) in produzioni abbastanza importanti (si veda il film con Verdone, Benedetta follia, e quello di Massimiliano Bruno, Non ci resta che il crimine). Il problema è che la Pastorelli come protagonista, per di più in un ruolo drammatico, non funziona, non è ancora matura e avrebbe bisogno, al massimo, di avere un ruolo scritto su di lei oltre che essere diretta molto attentamente, cosa che in Occhiali neri non accade. Quindi abbiamo già il primo grande scoglio per la riuscita del film: la credibilità della sua protagonista.

A questo aggiungete tutta una serie di trovate di sceneggiatura che sembrano scritte per una parodia, per una commedia demenziale, ma che invece appartengono a un thriller serio che dovrebbe spaventare o trasmettere tensione. Il movente dell’assassino e la sua scoperta da parte della protagonista, le scene con i poliziotti, la sequenza all’orfanotrofio e poi alcuni dialoghi come lo scambio di battute tra Diana e la sua domestica, oppure gli apprezzamenti che lei, cieca, fa a un suo affezionato cliente, per non parlare dell’infelice chiusura della scena della visita medica in cui il dottore che le ha annunciato la cecità si congeda con un “arrivederci”.

Insomma, ci sono soluzioni, anche delle piccolezze come quest’ultima, che sicuramente sarebbero potute essere evitate con una semplice revisione dello script, invece sembra che sia stata filmata la prima bozza della sceneggiatura, così come era stata pensata di getto trent’anni fa, compreso l’inserimento quasi alieno della nazionalità cinese del piccolo co-protagonista che oggi è invece una realtà assodata e naturalissima in ogni agglomerato urbano italiano.

Quel che viene a mancare in Occhiali neri è anche un certo estro registico che possa distinguerlo come film di Dario Argento, manca il marchio di fabbrica, ed è vittima di un anonimato complessivo che lo avvicina a certi film tv italiani contemporanei. Manca anche il sadismo che Argento si è comunque portato dietro fino a tempi recenti e se alcune scene – tipo l’omicidio iniziale e l’intervento del cane – sembrano voler suggerire una timida propensione al gore, è la sciatteria di base ad annullarla, come se fossero scene dovute ma non sentite. E questo accade anche nella sequenza dei serpenti che sulla carta ha un forte connotato argentiano ma che nella pratica risulta solo goffa, per nulla credibile, quasi comica.

È tutto da cestinare in Occhiali neri? No, la fotografia di Matteo Cocco è molto ben eseguita e se in alcuni sprazzi di colore innaturale (rossi accesi, elettrici) ci ricorda che in teoria stiamo guardando un film di Dario Argento, la gestione delle numerose scene in esterno al buio è pressoché perfetta. Gli effetti speciali di Sergio Stivaletti, anche se non numerosi, hanno quel sapore vecchio stile che fa sempre molto bene al cinema di genere. E poi Asia Argento se la cava alla grande, la migliore davanti la macchina da presa, in un ruolo piccolo ma centrato e sentito in cui notiamo una incredibile somiglianza (fisica ma soprattutto nel timbro di voce) con la mamma Daria Nicolodi, vero volto storico del grande cinema argentiano.

Dunque, Occhiali neri vaga in quel purgatorio di lungometraggi che Argento ha diretto negli ultimi vent’anni, notiamo un valore produttivo sicuramente più importante di un Dracula 3D capace di elevarlo dalla scomoda nomea di trash, ma gli manca, ad esempio, quella divertita follia de La Terza Madre. Occhiali neri è lì, che affonda nell’anonimato di un Giallo o un Cartaio, pronto ad essere dimenticato presto in favore di una ormai doverosa rivalutazione dei film che Dario Argento ha diretto negli anni ’90, periodo a cui Occhiali neri sarebbe appartenuto di diritto e, probabilmente, con risultati finali ben più incoraggianti.

Roberto Giacomelli

PRO CONTRO
  • La cura nella fotografia.
  • Asia Argento nella sua migliore interpretazione diretta dal padre.
  • Ilenia Pastorelli non è stata la scelta adatta.
  • Troppe scelte assurde di sceneggiatura, troppo ridicolo involontario.
  • Manca di personalità registica.
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Occhiali neri, la recensione del thriller di Dario Argento, 4.5 out of 10 based on 2 ratings

One Response to Occhiali neri, la recensione del thriller di Dario Argento

  1. Alberto Signifredi ha detto:

    Non ho visto il film,ma ricordo bene che anche i primi film di Argento ,a suo tempo, suscitarono aspre critiche. Solo col passare degli anni vennero riconosciuti come capolavori del genere e lui elevato al rango di “maestro”.
    Forse il cinema di Argento ha bisogno di tempi lunghi per essere compreso.

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