Richard Jewell, la recensione
Il 27 luglio del 1996, durante i giorni delle Olimpiadi di Atlanta, al Centennial Olympic Park si è consumato un tragico evento che ha portato via la vita di una persona e causato 111 vittime. Un attentato terroristico causato da uno zaino esplosivo abbandonato dall’attentatore su una panchina nel bel mezzo di un concerto organizzato per salutare i giochi olimpici.
1 morto e 111 feriti, un bilancio che sarebbe potuto essere molto più tragico se la guardia di sicurezza Richard Jewell non si fosse accorta dell’oggetto sospetto allertando la polizia e contribuendo allo sgombero dell’area prima dell’innesco dell’esplosivo. Un eroe, in pratica. Un ometto sovrappeso di 34 anni, incredibilmente ligio al dovere che è stato però al centro di uno dei più clamorosi processi mediali americani del XX secolo. Infatti Richard, nonostante fosse stato inizialmente incensato dai media come esempio dell’eroe americano che può nascondersi nell’uomo comune, in un batter d’occhio è diventato bersaglio di una macchina del fango che ha danneggiato la sua immagine personale e professionale.
Come accade in casi che implicano il terrorismo, le autorità indagano su chiunque possa in qualche modo essere collegato, anche chi ha sventato l’attacco… una prassi. Ma nel caso di Atlanta, Richard Jewell è velocemente finito in cima alla lista dei sospetti. Si è trattato fondamentalmente di una serie di pregiudizi che, con il progredire delle indagini, sarebbero comunque finiti per far cadere le accuse, ma tutto sarebbe dovuto rimanere lontano dai riflettori se una soffiata alla stampa proveniente dall’FBI non avesse fatto si che il nome di Richard Jewell finisse in tutti i notiziari e sulle prime pagine dei giornali. Un eroe o un mostro? Il confine posto dalla stampa è stato labile e la reputazione di quel ragazzotto di buon cuore ma con la passione per le armi da fuoco è velocemente stata rovinata.
Clint Eastwood ha visto nella storia di Richard Jewell materiale perfetto per alimentare la sua filmografia dedicata all’eroe americano, che negli ultimi anni sembra essere il materiale prediletto dal regista di Gran Torino. Nello specifico, Richard Jewell segue molto da vicino il modello di Sully (2016), anch’esso incentrato sulle gesta nobili di un uomo finito però sotto i riflettori con una pesante accusa che ne ha rovesciato le sorti eroiche. Una grande coerenza tematica votata a sottolineare l’idiosincrasia del Sogno Americano, un Paese che “dà” e immediatamente dopo “toglie”, glorifica e condanna indipendentemente da reali prove di colpevolezza. La storia di Richard è esemplare a tal proposito, un uomo semplice ma incredibilmente competente nel suo lavoro, a tratti ingenuo, buono ma se messo nella condizione ideale capace anche di trasformarsi in quello “stronzetto” che l’avvocato Bryant gli aveva raccomandato di non essere mai.
La vita di Richard si interrompe per 88 interminabili giorni, duranti i quali non esiste privacy ne per lui ne per la sua anziana madre, ma una lunga agonia che potrebbe condurlo immotivatamente alla sedia elettrica… lui che paradossalmente crede nella giustizia, nelle autorità, negli Stati Uniti d’America.
Una vicenda che cattura immediatamente l’attenzione dello spettatore, intensa e toccante, raccontata da Eastwood con un ritmo incredibilmente serrato, con una modernità di linguaggio che si ancora irrimediabilmente al suo stile classico, ordinato, rigoroso, accomodante e avvincente. Richard Jewell è, insomma, l’ennesimo grande film di un artista che giunto alla soglia dei 90 anni continua a incidere pagine di grande cinema.
A contribuire alla riuscita di Richard Jewell c’è anche un cast in stato di grazia, capeggiato dal semi-sconosciuto Paul Walter Hauser (che ricorderete in un ruolo di contorno in BlacKkKlansman) nel ruolo del protagonista, incredibilmente espressivo e fisico quanto basta, anche se a rubare spesso la scena a tutti è il sempre ottimo Sam Rockwell nel ruolo dell’umanissimo avvocato Watson Bryant. Lascia il segno anche Kathy Bates, non a caso nominata agli Oscar, nel ruolo della madre di Richard, e i “villains” della situazione Jon Hamm e Olivia Wilde.
Richard Jewell prosegue e forse completa l’ideale trilogia iniziata con Sully e proseguita con il poco riuscito Ore 15:17 – Attacco al treno, ma entra in un progetto artistico molto più grande probabilmente iniziato nel 2006 con il bellico Flags of Our Fathers e dedicato al racconto degli Stati Uniti, visto attraverso atti eroici e atroci contraddizioni che hanno fatto del Paese più potente del mondo un nido di gloria e infamia.
Roberto Giacomelli
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