Come saltano i pesci, la recensione

Matteo è poco più che ventenne, vive in una famiglia come tante, lavora come meccanico nell’officina del padre e ha il grande sogno di andare a lavorare a Maranello, nella scuderia della Ferrari. Un giorno il suo sogno sembra potersi realizzare, ma allo stesso tempo una telefonata distrugge ogni sua certezza sulle persone che gli sono vicino.

Questo è solo l’incipit di Come saltano i pesci, terzo lungometraggio del maceratese Alessandro Valori che dopo Radio West (2004) e Chi nasce tondo… (2008), torna al cinema per raccontare una storia incentrata sulla ricerca delle radici.

La vicenda di Matteo si intreccia, infatti, con quella di Luca, un giovane operaio che si guadagna da vivere nei cantieri navali. A loro si unisce Angela, una sbandata che – forse guidata da compagnie sbagliate – passa la vita tra bravate adolescenziali e nottate in discoteca. Questi tre personaggi, inizialmente mostrati con un montaggio alternato, sono inevitabilmente destinati a incontrarsi, a interagire, amare e odiarsi in un meccanismo che gioca al colpo di scena (multiplo). Ma lo stesso gioco di incastro di destini riguarda anche la dimensione adulta, con un uomo in bianco di cui sappiamo pochissimo, se non che è coinvolto in un incidente che fa da innesco a tutta la vicenda.

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La regia di Alessandro Valori, attenta e molto curata anche grazie a movimenti di macchina ben studiati, va a supportare una sceneggiatura, a cura di Paula Boschi e Serena De Angelis, che convince solo in parte. L’intreccio inizialmente criptico, affidato a diversi punti di vista alternati, è sicuramente vincente perché riesce a tenere desto l’interesse dello spettatore puntando sulla curiosità di un mistero che deve sciogliersi da un momento all’altro. Purtroppo il mistero viene svelato fin troppo presto e quella costruzione da road movie che ad un certo punto il film sembrava aver preso cede il passo a un’impostazione da dramma sulla ricerca della fiducia. Quest’ultima parte, che abbraccia un terzo atto fin troppo ampio, perde di ritmo, tende a dilungarsi su alcuni aspetti e scivolare troppo veloce su altri, diluendo inutilmente il film.

Allo stesso tempo notiamo che i dialoghi hanno quella ingenuità di certa fiction nostrana da prima serata, così come alcuni espedienti buonisti votati allo stemperamento della tensione e alla riconciliazione a tutti i costi, svelando subito la formazione televisiva di chi ha scritto il film.

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Il cast anche viaggia tra alti e bassi. Molto bravo il protagonista Simone Riccioni, che viene dagli Universitari di Moccia e mostra spontaneità e talento, così come è molto convincente Marianna Di Martino, già vista in Un fantastico via vai di Pieraccioni e soprattutto nel survival movie La Santa di Cosimo Alemà, che sa ben rendere la fragilità di una ragazza ancora in cerca di un’identità sociale. Così così il perennemente incazzato Brenno Placido (Natale in Sudafrica, Bella addormentata) e malamente gestito il ruolo da spalla comica dell’esordiente Maria Paola Rosini. Sul versante “veterani” abbiamo un sempre bravissimo Giorgio Colangeli, un Biagio Izzo in un inedito ruolo drammatico e Maria Amelia Monti che, forse caduta in una macchina del tempo, è sempre uguale a sé stessa… e non parlo solo di aspetto fisico.

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Con una varietà di location che solitamente non troviamo nel cinema indipendente e una bella fotografia che sa gestire accuratamente le riprese in esterni, Come saltano i pesci si assesta nella media del buon cinema italiano, fatto di (buoni) sentimenti, personaggi e vicende vicine alla realtà di tutti i giorni.

Roberto Giacomelli

PRO CONTRO
  • Una regia pulita e attenta.
  • Il film sembra costato molto più di quanto lo sia effettivamente.
  • Alcuni attori sono molto bravi.
  • Le quasi due ore di durata sono davvero troppe.
  • La seconda parte del film ha un ritmo drasticamente diluito.
  • Altri attori convincono meno.
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Valutazione: 6.0/10 (su un totale di 1 voto)
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