Second Chance, la recensione

Due film in un anno per la regista danese Susanne Bier. Sebbene Una folle passione si sia rivelato un flop, la regista rilancia con un film più forte e dalla portata ben più importante: Second Chance.

Molti la ricorderanno per i suoi drammi intimisti, dal suo film più celebre “Non desiderare la donna d’altri”, alla commedia made in Italy Love Is All You Need, passando per l’Oscar vinto con In un mondo migliore.

Con Second Chance la regista torna proprio là dove era partita, al dramma intimista, interrogandosi sull’integrità umana, la giustizia e la genitorialità, mettendo in discussione tutta una serie di luoghi comuni sempre attuali.

Second Chance è ufficialmente il nuovo Il capitale umano, con cui ha in comune soprattutto la narrazione, tutta presa ad inseguire i quattro personaggi principali, sebbene questi appaiano alquanto più complessi e sorprendenti del film di Virzì.

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Un giorno come tanti. Due poliziotti, Andreas e Simon, fanno irruzione nell’appartamento di una coppia di balordi, Tristan e Sanne, dediti all’uso di droghe, che hanno momentaneamente abbandonato il loro bambino nel bagno, in condizioni pietose e nel bel mezzo di una crisi di pianto. Lui è piuttosto su di giri e lei ha sul corpo segni di violenza. Immagini forti per una storia forte e diretta. Andreas è un poliziotto semplice e onesto, dalla moralità così perfettamente integra, marito di Anna, la cui felicità è completata da un neonato che riempie le loro notti di pianti improvvisi e inspiegabili. Nonostante la fatica, i due vivono molto bene la loro genitorialità. Il loro mondo è piccolo ma perfetto. Oppure no? C’è forse qualche crepa sotterranea di cui loro stessi sono ignari? Il racconto va allora indietro di qualche ora, scavando sempre di più nell’apparente felicità di questa tranquilla coppia danese, che ben presto si troverà di fronte ad una serie di scelte drammatiche che si riverseranno sempre di più sul personaggio di Andreas, vero perno della vicenda. E in gioco entreranno pure i destini di Tristan e Sanne, a cui ad Andreas saranno affidate le carte.

Quanto lontano da noi stessi possono portarci le scelte sbagliate? E’ ciò che la regista sembra chiedersi con questo film.

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Il film non ha particolari difetti di tecnica o di narrazione. Gli elementi che risaltano più di altri son principalmente due: la sceneggiatura e il montaggio, dietro le quali si nasconde una regia lucida e vigile, che guida lo spettatore nell’intimo di ciascun personaggio. La regista ci prende e non ci abbandona mai: non ci lascia nemmeno il tempo di distrarci, riuscendo a spiazzarci in ogni momento del film. Il cast, capitanato da un intenso Nicolaj Coster-Waldau, dai più conosciuto per la serie Games of Thrones, è di altissimo livello, ciascuno alle prese con un personaggio complesso e indefinibile. Accanto a Coster-Waldau compaiono a ruota Nicolaj Lie Kaas, già visto in Non desiderare la donna d’altri, Maria Bonnevie e l’esordiente May Andersen, ex modella alla prima, e peraltro riuscitissima, prova di attrice. Ai quali va aggiunto anche Ulrich Thomsen, altro veterano della Bier, che compare in un ruolo di secondo piano ma sempre memorabile.

Second Chance è un film fortemente malinconico, fatto di rimorsi e pianti segreti, un pugno nello stomaco, uno schiaffo morale all’apparenza a cui siamo abituati a credere.

 Claudio Rugiero

PRO CONTRO
  • Cast impeccabile e all’altezza
  • Storia forte e coinvolgente
  • Personaggi sublimi, mai scontati

 

  • Eccessiva focalizzazione sul personaggio di Andreas, a volte un po’ a discapito di altri
  • Il racconto non è lineare e all’inizio si ha qualche confusione

 

Se vuoi vedere la video conferenza con Nikolaj Coster-Waldau clicca qui.

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Second Chance, la recensione, 8.0 out of 10 based on 1 rating

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