Shang-Chi e la leggenda dei dieci anelli, la recensione
Anno Domini 2021, Fase 4 del Marvel Cinematic Universe.
Mentre beghe legali contrappongono la ormai ex Black Widow ai vertici della Disney e il catalogo Disney+ si arricchisce di serie Marvel Strudios, con l’agognata apertura al Multiverso grazie a Loki e l’esplorazione di realtà alternative con What If…?, sul grande schermo esordisce un nuovo supereroe, Shang-Chi, il primo in ruolo da protagonista a portare nell’MCU suggestioni dall’Estremo Oriente.
Shang-Chi e la leggenda dei dieci anelli è un’esclusiva cinematografica (in sala dal 1° settembre), a differenza degli altri prodotti Disney distribuiti negli ultimi mesi quasi in day-to-date con la piattaforma di streaming Disney+, e in quanto tale sarà il vero banco di prova su cui testare il grado di affetto (e interesse) del pubblico cinematografico ai prodotti Marvel anche nell’era pandemica.
Va subito premesso che, così come Black Widow, Shang-Chi e la leggenda dei dieci anelli è un film “diverso” per gli standard dell’MCU nel senso che la formula di base è la medesima di sempre, l’ormai collaudatissima che comprende azione, ironia, fantasy e famiglia, ma come succedeva con lo stand-alone su Natasha Romanoff si cerca di esplorare suggestioni differenti da quelle che fino ad ora i film sugli Avengers (singoli o uniti) ci hanno regalato. Nel caso specifico di Shang-Chi si va ad aprire un intero mondo legato strettamente al folklore cinese, con un’accentuatissima componente fantasy (si tratta del film più spudoratamente fantasy dell’intero MCU) e un’attenzione particolare per quello in cui ha da sempre eccelso il cinema cinese e di Hong Kong: le arti marziali.
Un prologo ambientato oltre un secolo fa in Cina ci mostra il potere dei dieci anelli, un’arma soprannaturale che rende quasi invincibili chi la possiede e praticamente immortale Wenwu, che infatti ritroviamo nel 1996 come leader dell’organizzazione nota come Dieci Anelli. Wenwu si innamora di Ying Li, che appartiene al mondo magico di Ta-Lo e, nonostante la sua gente non veda di buon occhio questa relazione, la donna decide di sposare Wenwu e fare due figli con lui, Shang-Chi e Xialing. Ai giorni nostri ritroviamo Shang-Chi a San Francisco, parcheggiatore in un lussuoso hotel, apparentemente inconsapevole del suo passato. Quando il ragazzo viene aggredito da alcuni tizi misteriosi che vogliono impossessarsi di un ciondolo donatogli da sua madre, Shang-Chi capisce che è arrivato il momento di fare i conti con il suo passato e si mette in viaggio verso Macao per riunirsi a sua sorella.
Shang-Chi nasceva sui fumetti Marvel nel 1973, in pieno fermento occidentale per l’Estremo Oriente, quello fomentato dal grande successo del cinema di arti marziali e del diffondersi del kung-fu, quindi in periodo Bruce Lee. È stato proprio il noto artista marziale e attore a ispirare il disegnatore Paul Gulacy nella fisionomia di Shang-Chi che è comparso per la prima volta nel dicembre del ’73 sul numero 15 di Marvel Special Edition per diventare poi protagonista della testata The Hands of Shang-Chi: Master of Kung Fu (da noi semplicemente Shang-Chi: Maestro del Kung-fu, arrivato nel 1975 con Editoriale Corno). Una testata che è sopravvissuta con successo per 125 numeri, fino al 1983, dopo di che il supereroe ha condiviso con altri “colleghi” saghe, mini-saghe, eventi rimanendo sempre un punto fermo nell’immaginario Marvel.
A qualcuno, sicuramente, Shang-Chi potrà apparire come un personaggio minore, nato da un trend, da una richiesta di mercato ben precisa intercettata dalla Casa delle Idee, ma nel tempo questo personaggio si è fatto portatore di un insieme di valori e di un immaginario che in Marvel effettivamente mancava, coinvolgendo una serie di altri personaggi che hanno sedimentato un’idea del popolo cinese e delle suggestioni asiatiche sicuramente molto stereotipata ma utile “alla causa”. Ed è ragionando su questa questione che i Marvel Studios si sono approcciati al personaggio e al suo mondo, ovvero coinvolgere il potenziale pubblico asiatico (a parte Wong, che fa da spalla a Doctor Strange, non abbiamo personaggi asiatici di rilievo nell’MCU e sono perfino state compiute almeno due importanti opere di “whitewashing” a proposito, con Mandarino e l’Antico) escludendo categoricamente il perdurare di stereotipi razziali che sui fumetti sono stati legati al personaggio.
Via, dunque, ogni legame con il personaggio di Fu Manchu – che nei fumetti è stato padre di Shang-Chi – e nessun richiamo visivo a Bruce Lee per un film diretto e co-sceneggiato dall’hawaiiano Destin Daniel Cretton (Il castello di vetro e Il diritto di opporsi) e interpretato dal cinese Simu Liu, tanta tv alle spalle (Orphan Black, The Expanse, Taken) e una partecipazione a Pacific Rim di Guillermo Del Toro.
Il risultato va oltre ogni più rosea aspettativa per un film che, di fatto, porta finalmente avanti la storia dell’MCU (al cinema) fondendo con armonia il consolidato background cinematografico Marvel con numerose novità che d’ora in poi faranno parte di questo universo.
Innanzitutto, Shang-Chi e la leggenda dei dieci anelli introduce nuovi personaggi che si inseriscono in un mondo fino ad ora inedito. Per certi aspetti il mondo segreto di Ta-Lo (che i lettori di Thor, in particolare, conosceranno già) ricorda Wakanda per come viene presentato allo spettatore e per alcuni leggeri punti in comune lo stand-alone di Shang-Chi può rimandare proprio al primo film di Black Panther, con quella capacità che solo i Marvel Studios hanno di sviluppare in maniera credibile, chiara e completa un mondo e un’intera mitologia in poco più di due ore.
I personaggi, per lo più, sono stati riscritti in confronto alla controparte cartacea, a volte in maniera drastica (il padre di Shang-Chi) altre volte con dei punti di ancoraggio inequivocabili che mantengono pressoché immutate le maggiori caratteristiche (lo stesso Shang-Chi). Poi ci sono personaggi che nascono dalla fusione/rielaborazione di altri, come Xianling, sorella di Shang-Chi, altri ancora completamente inediti, come Katy, ripescaggi da altri fumetti/film (Abominio in un cammeo, Wong e un altro personaggio che non si può rivelare in questa sede) e altri ancora che appartengono alla mitologia Marvel Comics ma in altri contesti diversi da quello di Shang-Chi. Insomma, c’è un lavoro di costruzione, incastro e contestualizzazione effettivamente importante che, alla maniera dei Marvel Studios, riesce a non tralasciare nulla e creare grande coerenza generale con l’MCU.
Come si diceva, Shang-Chi e la leggenda dei dieci anelli ha un imponente ancoraggio con il genere fantasy che va ad amplificarsi a mano a mano che i minuti passano. Destin Daniel Cretton ha lavorato su un mix di generi che potesse infondere al film gli elementi più caratteristici della cultura cinese, così trova spazio una fondamentale concessione all’action, inteso sia come vorticoso cinema di arti marziali moderno con violenti scontri corpo a corpo (la scena all’inizio nel bus è un qualche cosa di pazzesco, così come colpisce lo scontro sulla facciata del grattacielo a Macao) sia abbracciando le eleganti coreografie teatrali del wuxiapian, da cui Shang-Chi raccoglie anche le suggestioni belliche che spesso condivano quel filone filmico. C’è poi l’elemento fantasy che si sposa con il folklore cinese grazie alla presenza di diverse creature mitologiche (c’è perfino un dijang con azzeccata caratterizzazione da animaletto disneyano che farà vendere tanti peluche) e un terzo atto completamente avvolto in un’atmosfera irreale e magica. Ma c’è anche spazio per il melò, per i conflitti famigliari, le faide, tutti elementi cari a molto cinema asiatico che qui si sposano con estrema naturalezza con le dinamiche della storia e dei personaggi Marvel.
Shang-Chi e la leggenda dei dieci anelli è dunque un film molto più complesso di quanto possa apparentemente sembrare, una origin-story dalle grandi responsabilità, un tassello chiave nell’MCU tanto utile a mettere “a posto” alcuni elementi del passato quanto ad aprire possibilità per il futuro.
Non fila tutto perfettamente liscio lungo i 132 minuti di durata ed è innegabile notare uno squilibrio narrativo tra la prima parte introduttiva, la concitata tranche centrale, e il lungo epilogo dove c’è un sovraccarico di elementi, ma nel complesso è un film riuscito davvero bene e rappresenta quella proverbiale aria fresca in una ormai lunghissima saga che dagli ultimi segnali – soprattutto televisivi – sembrava mostrare scoperta la guardia.
Oltre al carismatico Simu Liu, che è la vera scoperta attoriale del film, va senza dubbio menzionato l’immenso Tony Leung nel ruolo di papà Wenwu, Michelle Yeoh e Awkwafina, scelta di casting molto rischiosa che invece riesce a contenersi e dar vita a un personaggio (creato appositamente per il film) incredibilmente quasi necessario!
Non alzatevi dalla poltrona fino alla fine dei titoli di coda, ci sono due scene – mid e post credits – piuttosto importanti per il franchise dei Dieci Anelli e il futuro dell’MCU.
Roberto Giacomelli
PRO | CONTRO |
|
|
Lascia un commento