Il castello di vetro, la recensione
Il castello di vetro è il grande affresco di una famiglia eccentrica, resiliente e affiatata: una straordinaria storia di eccessi. Oggi si definirebbe “famiglia disfunzionale”, ma l’appellativo non renderebbe l’idea.
Tratto dal best-seller autobiografico della celebre giornalista americana Jeannette Walls, seconda di quattro figli, il film punta sulla presenza della straordinaria Brie Larson (Premio Oscar per Room), che incarna la Walls da giovane. Jeannette è una donna che, influenzata dalla natura piacevolmente selvaggia del suo problematico padre, e della non meno problematica madre, trova la determinazione per costruirsi una vita di successo, seguendo le proprie regole.
Per far rivivere la famiglia Walls i produttori hanno puntato su un cast pluripremiato. Oltre alla Larson, ad interpretare papà Rex Walls c’è il due volte candidato all’Oscar Woody Harrelson, mentre la mamma di Jeannette, Rose Mary, ha il volto della candidata all’Oscar Naomi Watts, che ha il pregio di fondersi completamente col personaggio.
Quella di Jeannette è una storia molto cinematografica: una fiaba che racconta una vita vissuta in auto e in baracche, fino a toccare i vertici dell’editoria di New York, case di lusso e feste con la gente che conta. Una storia potente a cui il regista Destin Daniel Cretton si è legato fin da subito. Cretton riesce in un’impresa enorme: far riconoscere nel film chiunque nella vita è rimasto turbato o illuminato dalla propria famiglia. In poche parole: tutti!
“Questa è la magia della narrazione: se una persona riesce a trovare il coraggio di raccontare il proprio vissuto, allora – dichiara la Walls – ciò consentirà ad altre persone di essere oneste. È molto importante fare i conti con il proprio passato, e spero che la mia storia incoraggi le altre persone a ripercorrere la loro”.
Non c’è nulla di smielato nel film, ma Cretton trasferisce su pellicola luce, felicità, amarezza e disagio. Bellezza e bruttezza, chiarore e oscurità. Nessun bambino dovrebbe affrontare ciò che affrontano i piccoli Walls, ma tutti i bambini dovrebbero avere una famiglia così. Paradosso del vero amore. Anche se è imperfetto, il vero amore ti salva. Cretton fa una scelta radicale: non si avvicina ai personaggi per presentarli come anomali e disastrati, ma ci racconta una storia di amore incondizionato. Ci presenta così, non una tribù di matti da legare, ma un insieme di esseri umani simpatici, affascinanti ed eccessivi. Le giornate dei fratelli Walls sono un bizzarro collage di incanto e disastro. Mentre la squinternata Rose Mary dipinge alberi e paesaggi ad olio (i quadri che si vedono del film sono autentici e prestati proprio dall’artista), Rex si occupa dell’istruzione dei figli. Lezioni sotto le stelle di astronomia, geologia, letteratura condite da laboratori didattici con pala e zappa.
Punto cardine del film è il fortissimo legame di Jeannette con questo padre matto ma geniale, erudito ma ubriacone, che promette di continuo che tutto cambierà e che il posto dove sono arrivati, dopo l’ennesima fuga, è quello in cui costruirà veramente il castello di vetro, già progettato su carta in tutti i dettagli, con i pannelli solari e pareti trasparenti. Un castello che li renderà autonomi e liberi dalla società omologata. Il castello di vetro è simbolo di tutte le promesse scintillanti ma infrante dell’infanzia di Jeannette e metafora della vita dove sogni, speranze, progetti enormi come castelli fragili come il vetro hanno un valore maggiore del fine stesso. L’immateriale vince sul materiale.
Brie Larson dimostra anche qui di essere un’attrice emozionante, in alcuni momenti risulta così profonda da togliere il fiato. Riesce a fare completamente sua la storia di Jeannette e, in qualche modo, anche a trascinare nello schermo tutti coloro che, anche non avendo alle spalle situazioni estreme, raggiungono l’età in cui sentono di aver bisogno di diventare ciò che sono e di forgiarsi un’identità separata dalla propria famiglia. Jeannette, un po’ come tutti si allontana per scoprire se stessa ed il riscoprire se stessa la riporta a casa. Non da meno l’interpretazione di Woody Harrelson che ci presenta un personaggio sfaccettato, bellissimo e folle; in una scena avventato, volitivo e cattivo, in quella dopo gentile, premuroso e divertente.
Interessante anche la parte più tecnica del film. Scenografia e fotografia mutano assieme alla protagonista e, mentre la giornalista ormai famosa e ricca, inizia a rivedere il lato più tormentato della sua famiglia, la fotografia e i colori del film cambiano. La telecamera non aggiunge mai tensione anzi, sembra fare un passo indietro per lasciare agire i personaggi su set decisamente notevoli.
Il castello di vetro è un film bello, commovente, che non regala scene memorabili e forse questo è un bene. È un film che fa molto di più: ci ricorda quello che eravamo e quello che siamo oggi, grazie a chi ci ha messi su questa Terra.
Ilaria Berlingeri
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