Spider-Man: Across the Spider-Verse, la recensione

La Storia del Cinema d’animazione ha delle tappe fondamentali che portano questo linguaggio/tecnica a creare degli ideali checkpoint da cui far proseguire l’evoluzione del mezzo. Sappiamo bene che la Disney è stata fin dagli esordi il vero apripista per ogni futuro possibile dell’animazione, ma sappiamo anche che nel 2018 il blockbuster sperimentale di Sony Animation Studios Spider-Man: Un nuovo universo ha gettato le basi per un’inedita esplorazione visiva (ma anche narrativa) dell’animazione cinematografica.

Vincitore di un Premio Oscar nell’apposita categoria, il film di Bob Persichetti, Peter Ramsey e Rodney Rothman ha subito lanciato il trend di un’animazione meno convenzionale, stilizzata, risultato di una fusione di tecniche e stili, testimone immediatamente raccolto dalla DreamWorks che, seppur con meno audacia, ne ha fatto tesoro per Troppo cattivi e Il Gatto con gli Stivali 2 – L’ultimo desiderio.

Ma Spider-Man: Un nuovo universo era solo l’inizio, il primo passo verso un sequel capace di amplificare tutto quello che abbiamo visto in quel film portandolo a livello superiore di sperimentazione ma anche di perfezione. Spider-Man: Across the Spider-Verse, che vede alla regia altri tre talenti come Joaquim Dos Santos, Kemp Powers e Justin K. Thompson, non è solo un seguito narrativamente impeccabile, ma anche un’opera (d’arte) che abbandona la “semplice” sperimentazione del precedente capitolo e va oltre, dando vita a un sistema complesso di stili grafici e animazione, a tratti così tranchant da risultare assolutamente “normali” agli occhi dello spettatore. Insomma, se Spider-Man: Un nuovo universo ha gettato le basi per il futuro, Spider-Man: Across the Spider-Verse è quel futuro.

Dopo gli eventi che hanno portato Miles Morales ad acquisire i poteri da ragno e allo squarcio dimensionale che lo ha fatto incontrare con altre spider-persone, la vita del ragazzo è ormai divisa tra la quotidianità di Miles studente di liceo e le peripezie di Spider-Man eroe di Brooklyn. Ma non sempre le due vite riescono a collimare facilmente.

Quando Gwen Stacy torna nell’universo di Miles per un saluto, il ragazzo capisce che in realtà Gwen – che in tutti questi anni non si è più fatta viva – ha uno scopo differente e decide di seguirla in un portale dimensionale. Miles scopre che Gwen, membro di una speciale squadra di polizia multiversale, sta cercando una spiegazione a una serie di fenomeni che stanno mettendo in pericolo l’equilibrio del Multiverso. La causa sembra essere La Macchia, un bizzarro essere che vive nell’universo di Miles e che ha la capacità di viaggiare nelle diverse realtà del Multiverso. E c’è un dettaglio: La Macchia è la nemesi numero uno di Miles Morales visto che è stato proprio per colpa sua che è stato creato durante gli eventi del 2018!

A differenza del precedente Into the Spider-Verse, Across the Spider-Verse non è ambientato solo nella dimensione di Miles Morales, ma si estende alle “altre Terre” dell’Universo Marvel e questo dà modo agli animatori di sbizzarrirsi in una moltitudine di stili differenti, ognuno messo a caratterizzare la Terra in cui si sta ambientando l’azione. Così, la lunga introduzione su Terra-65 dove vive Gwen Stacy ha un tratto molto leggero con colori acquerello, spesso utilizzando la monocromia per gli sfondi; Spider-Punk e i suoi elementi di contesto sono realizzati con la tecnica del collage, richiamando – ovviamente – le copertine dei dischi dei Sex Pistols. E ancora abbiamo i set lego in stop motion per l’Universo Lego, i disegni stile golden age Marvel per un universo differente e uno stile dai tratti duri e con colori caldi e saturati per la Terra di Pavitr Prabhakar, ovvero lo Spider-Man indiano. Insomma, Spider-Man: Across the Spider-Verse è una continua stimolazione visiva, un insieme irresistibile di stili perfettamente fusi tra loro che riescono proprio a dare la sensazione allo spettatore di guardare qualcosa di unico nel suo genere, oltre che di artisticamente molto elevato.

spider-man: across the spider-verse

Ma un altro grande pregio di Spider-Man: Across the Spider-Verse è la bontà della sceneggiatura.

Inserendosi in un discorso di Multiverso ben più centrale e calzante di quanto fatto fino ad ora nei film dell’MCU e nel The Flash di Muschietti, il nuovo film su Spider-Man affronta il tema in maniera completa e complessa, ma sempre perfettamente chiara e fruibile anche dal pubblico che non ha troppa dimestichezza con le dinamiche multiversali dei fumetti, inserendosi a gamba tesa anche come canonico nelle saghe live action di Spider-Man.

Inoltre, questo film riesce approfondire tutti i personaggi di maggior spicco facendo in modo che lo spettatore arrivi a conoscerli in maniera approfondita. Miles era già ben sviluppato nel precedente capitolo e qui ci viene raccontato soprattutto per le responsabilità che gravano sul suo doppio ruolo, con un bel discorso di causa/effetto che poi rappresenta il fulcro dell’epilogo. A vestire i panni di vero e proprio co-protagonista è Gwen Stacy, impulsiva, testarda, batterista della band femminile The Mary Jane’s, ma allo stesso tempo anche fragile e bloccata in un rapporto molto difficile con suo padre. Terzo polo del parco caratteriale è Miguel O’Hara, ovvero Spider-Man 2099, figura altamente tragica e leader della polizia multiversale, incattivito/indurito dagli eventi che ha subito e ora determinato a fare la “cosa giusta” (ovvero quella che per lui lo è) pur di tenere l’ordine nel Multiverso.

Attorno a questi tre magnifici personaggi gravitano tutta una serie di figure secondarie ben scritte e funzionali, a cominciare dal gran villain La Macchia, un personaggio bizzarro creato negli anni ’80 (ma divenuto celebre un decennio dopo) che è diverso da qualsiasi altro cattivo visto fino ad ora in un cinecomic perché unisce una certa goffaggine con una storia tragica capace di dargli un vero movente per le sue azioni. Poi il suo potere – aprire portali dimensionali grazie alle macchie che ha sul corpo – gli consente di inserirsi perfettamente nel contesto narrativo creato ad hoc per il film e spinge gli animatori a sbizzarrissi in una moltitudine di trovate visive davvero folli.

Quello diretto da Joaquim Dos Santos, Kemp Powers e Justin K. Thompson e sceneggiato da Phil Lord, Christopher Miller e David Callaham non è solo un film bellissimo visivamente e molto ben gestito narrativamente, è anche un film importante per l’industria del cinema d’animazione, un vero spartiacque che ci dice oggi come sia possibile sperimentare anche a livelli di blockbuster e raggiungere una qualità artistica ineccepibile.

Spider-Man: Across the Spider-Verse non termina, ma è solo la prima parte di una storia articolata in due lungometraggi (il secondo e ultimo è Spider-Man: Beyond the Spider-Verse e uscirà nella primavera 2024) ed è solo per questo che non ha beccato il voto massimo in questa recensione, ma sappiate che entrando in sala per vedere questo film significa assistere all’esperienza di cinema d’animazione più importante degli ultimi 25/30 anni, almeno.

Nessuna scena post-credits, alzatevi tranquilli dalla poltrona dopo le bellissime animazioni che accompagnano il primo blocco dei titoli di coda.

Roberto Giacomelli

PRO CONTRO
  • Tecnicamente e visivamente pazzesco: un’esperienza rivoluzionaria nel campo dell’animazione cinematografica.
  • Una bella storia, con personaggi ben gestiti.
  • Non c’è un finale, rimandato al prossimo film.
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Valutazione: 9.0/10 (su un totale di 1 voto)
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Spider-Man: Across the Spider-Verse, la recensione, 9.0 out of 10 based on 1 rating

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