State a casa e Rifkin’s Festival: piccole commedie d’autore in Home Video

Così come tanti altri generi, in primis l’horror, anche la commedia negli ultimi anni è stata sottoposta ad una certa rilettura, sia che si parli di cinema hollywoodiano che di quello nostrano. Sembra che le grandi produzioni abbiano iniziato a subire un certo fascino da parte dei prodotti più piccoli, quelli che fino a qualche decennio fa avremmo etichettato come “di nicchia”. E così anche la commedia, che è il genere più popolare per definizione, ha iniziato a prendere le distanze da un certo look mainstream per somigliare maggiormente – tanto per stile quanto per storie – ad un cinema più indipendente. Nelle scorse settimane CG Entertainment ha portato sul mercato home video due commedie che non si sottraggono a questa tendenza, tutte e due passate in sala grazie a Vision Distribution nel momento in cui il nostro Paese era ancora fortemente schiacciato dalla pandemia e dalla morsa del lockdown. La prima delle due è State a casa, la quarta commedia per il cinema scritta e diretta da Roan Johnson, mentre la seconda è Rifkin’s Festival, l’ultima fatica di Woody Allen, ovvero uno tra i primi autori che ha portato la commedia mainstream a dialogare con quella più indipendente.

Nato a Londra ma cresciuto a Pisa, tanto da essere un vero e proprio pisano doc, Roan Johnson è attualmente uno dei più interessanti commediografi cinematografici della scena italiana. Un autore sopra le righe, decisamente anomalo, che ha trovato la fortuna in tv scrivendo e dirigendo l’apprezzata serie I delitti del BarLume ma che ha saputo regalarci anche delle piacevolissime chicche pensate per il grande schermo. Prima di arrivare a State a casa, infatti, Roan Johnson ci aveva divertiti con gli anarchici I primi della lista e Fino a qui tutto bene fino a dirigere nel 2016 il delizioso Piuma, l’avventura donchisciottesca di due adolescenti alle prese con un’inaspettata gravidanza.

A cinque anni di distanza dalla sua ultima opera cinematografica e sfruttando un tema che in un modo o nell’altro ci ha segnato tutti – ovvero la pandemia da covid e il lockdown – l’anglopisano decide di tornare al raccontare una storia per il cinema e la fa contando ancora una volta sul supporto produttivo della Palomar. Il risultato è un’operazione abbastanza folle, forse la più insolita della sua carriera.

Il mondo è bloccato da una pandemia. È arrivata da poco e ancora nessuno può immaginare quando se ne andrà. Fatto sta che tutti, ormai da mesi, vivono reclusi in casa e con la paura del mondo esterno. In un piccolo appartamento affittato a universitari, devono convivere Paolo e Benedetta, Nicola e Sabra, quattro amici/studenti che hanno sempre vissuto alla giornata e che adesso devono imparare a far convivere passioni, abitudini e stili di vita. Rimasti senza soldi e impossibilitati persino a fare la spesa, decidono di ricattare il proprietario di casa – il signor Spatola, un anziano che vive nell’appartamento accanto – e costringerlo a diminuire il costo dell’affitto. A seguito di una serie di improbabili disavventure, i ragazzi troveranno il signor Spatola morto nel suo appartamento. Cosa fare adesso? Chiamare la polizia? Chiamare l’ambulanza? Oppure fare finta di niente? Quest’ultima ipotesi è la più allettante, anche perché il signor Spatola è un uomo collegato alla malavita e con una cassaforte piena di soldi in casa. Tutti i problemi dei quattro ragazzi sembrano improvvisamente finiti ma la ricchezza è un brutto “virus” da curare.

Partendo da atmosfere ed uno stile registico nervoso che Roan Johnson ci aveva già fatto conoscere e apprezzare in Fino a qui tutto bene, State a casa si presenta come una rivisitazione in salsa covid del piccolo cult firmato da Danny Boyle a metà anni novanta, Piccoli omicidi tra amici. Il set-up, infatti, è lo stesso del film di Boyle ed anche il modo in cui la commedia, piano piano, lascia il passo alla tragedia rivelando la vera natura di tutti i protagonisti.

Con continui piani sequenza, una regia sporca che indugia su primi e primissimi piani, ed una narrazione che si fa sempre più marcia, sempre più febbricitante minuto dopo minuto, State a casa è un film fatto d’attori che ha quasi il sapore della piece teatrale, ma è allo stesso tempo un piacevolissimo intrattenimento che conferma il talento di un autore che dev’essere giustamente tenuto d’occhio. Ad aggiungere valore e credibilità al prodotto ci pensa anche il cast che coinvolge i giovani Dario Aita, Giordana Foggiano, Lorenzo Frediani e Martina Sammarco. A loro, nei panni dell’enigmatico signor Spatola, si aggiunge il veterano Tommaso Ragno.

Rilasciato al cinema da Vision Distribution ad inizio luglio 2021, State a casa è arrivato su supporto fisico nelle scorse settimane grazie a CG Entertainment che, tuttavia, decide di rilasciare l’opera solamente su supporto DVD. E a noi, vedere un film moderno privato dell’alta definizione, è una cosa che fa sempre un po’ soffrire.

Il DVD in questione, tuttavia, si difende piuttosto bene per quanto riguarda l’assetto tecnico. Considerando tutti i limiti che caratterizzano il DVD, il supporto restituisce un quadro video abbastanza nitido, utile a rispettare la cromie della fotografia ricercata di Gianluca Palma. Il reparto sonoro non delude e offre un ascolto squillante e pulito, sia in Dolby Digital 5.1 che 2.0 (entrambe le tracce in italiano, ovviamente). Per quanto riguarda i contenuti extra, nulla da dire perché non sono proprio contemplati.

In questo breve, brevissimo percorso all’interno della commedia d’autore, facciamo un enorme salto e passiamo al secondo titolo del lotto. Lasciamo l’Italia per raggiungere Hollywood, salutiamo un giovane autore nostrano che ha ancora tanto da dimostrare per accoglierne uno che siede già su una poltrona speciale nella Storia del cinema: Woody Allen.

Con 86 anni sulle spalle e più di 50 regie cinematografiche in curriculum (tra cui film divenuti leggenda come Manhattan e Io e Annie), Allen non è certo un autore che necessita di presentazioni. Ancora estremamente prolifico e carico di energia, tanto da assicurare ai suoi fan quasi un film all’anno, Allen sembra avere ancora tanto da dire nonostante i suoi ultimi film siano privi di quella verve e di quella creatività che hanno caratterizzato i suoi film più amati e influenti. Rifkin’s Festival non si sottrae a questa regola e non riesce, di conseguenza, a brillare all’interno della filmografia recente dell’autore newyorkese.

La storia narrata è quella di Mort Rifkin (un simpaticcismo Wallace Shawn), un ex professore di cinema che ha deciso di reinventarsi scrittore e lavorare al suo primo romanzo. Ma l’ispirazione fatica a venire a galla e Mort, di conseguenza, sembra vivere un precocissimo blocco dello scrittore. Mort è sposato con Sue (Gina Gershon), una giovane moglie che lavora nel cinema come Ufficio Stampa. Marito e moglie si troveranno presto in vacanza al Festival del cinema di San Sebastian, dove Sue deve anche lavorare perché Philippe (Louis Garrel), un giovanissimo regista nonché cliente della donna, ha la sua opera prima in concorso. Tutto sembra andare per il verso giusto fino a quando Mort inizia a sospettare che tra sua moglie e il regista ci sia un rapporto che vada ben oltre quello professionale. Per superare questo blocco professionale unito a quello personale, Mort dovrà iniziare a guardare la sua vita utilizzando la lente del cinema, ovvero quella legata ai grandi capolavori della settima arte che lui ama maggiormente.

Prendendo temi che da sempre sono cari al regista, quali le insicurezze e le fragilità umane (soprattutto maschili), Woody Allen porta in scena una commedia metacinematografica che riflette sulla condizione “sociale” di un uomo maturo, sul mondo del cinema che spesso e volentieri è sempre meno limpido e sul cinema stesso come forma d’espressione e come stato dell’animo. Tanti concetti che tuttavia faticano a legarsi bene insieme e Woody Allen, questa volta, attraverso il suo stile costantemente leggero e brillante, sembra essere più attento alla forma che al contenuto. Il risultato è una commedia così leggera da apparire quasi inconsistente, al cui interno si sfiorano tanti temi senza che nessuno di questi venga approfondito nel modo giusto.

Tutt’altro che una novità home video, Rifkin’s Festival è disponibile su supporto fisico già da qualche mese distribuito sempre da CG Entertainment in unione con Vision Distribution. A differenza del titolo affrontato precedentemente, Rifkin’s Festival arriva sul mercato sia in DVD che in alta definizione bluray disc. Noi vi parliamo di questa seconda opzione, un edizione bluray che sa essere assolutamente soddisfacente sul piano squisitamente tecnico.

Soddisfa in modo particolare il quadro video, infatti, che restituisce un immagine limpidissima e sempre attenta al dettaglio visivo, capace davvero di sfruttare al massimo le potenzialità dell’alta definizione. Alla stessa maniera convince il reparto sonoro, sia che si tratti della versione originale che quella doppiata in italiano, che vanta in entrambi i casi una traccia in DTS-HD Master Audio 5.1 e una in Dolby Digital 2.0.

Delusione cocente sotto l’aspetto extra dal momento che, anche in questo caso, sono totalmente assenti. Per un film del genere sarebbe stato giusto aspettarsi qualche approfondimento.

Giuliano Giacomelli

STATE A CASA di Roan Johnson

Label: CG Entertainment e Vision Distribution

Formato: DVD

Video:16/9 – 2.39:1

Audio: Italiano Dolby Digital 5.1; Italiano Dolby Digital 2.0; Audiodescrizione

Sottotitoli: Italiano per non udenti

Extra: Non presenti

Puoi acquistare il DVD di State a casa cliccando su questo link.

RIFKIN’S FESTIVAL di Woody Allen

Label: CG Entertainment e Vision Distribution

Formato: Bluray disc (disponibile anche in DVD)

Video: 2.00:1 – HD1080 24p

Audio: Italiano DTS HD Master Audio 5.1 e Dolby Dital 2.0; Originale DTS HD Master Audio 5.1 e Dolby Dital 2.0

Sottotitoli: Italiano per non udenti

Extra: Non presenti

Puoi acquistare il bluray di Rifkin’s Festival cliccando su questo link.

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