Strange World – Un mondo misterioso, la recensione

Per il suo 61° classico d’animazione, i Walt Disney Studios tentano la carta dell’innovazione mescolandola con coerenza con quella della tradizione. Da una parte c’è una storia moderna che parla della società contemporanea con le paure e i sentimenti che la muovono, dall’altra c’è un genere d’elezione e una dinamica dell’azione che arrivano direttamente dalla golden age dell’avventura fantastica, quella dei fumetti e delle riviste per ragazzi della prima metà del ‘900, dei romanzi di Verne, Asimov e Wells e da quei film d’avventura e fantascienza che hanno solcato l’immaginazione dei nostri padri e dei nostri nonni. Strange World – Un mondo misterioso racconta proprio tre generazioni ripercorrendo la storia di un popolo immaginario che è l’esatto riflesso della storia di tutti noi.

L’avventuriero Jaeger Clade, accompagnato da un team esperto e dal suo giovane figlio Searcher, è alla ricerca di un nuovo mondo incontaminato nascosto tra invalicabili montagne innevate che potrebbe salvare l’umanità da un imminente collasso energetico. Lo scenario è troppo inospitale per proseguire la missione e Searcher, insieme agli altri avventurieri, decide di non proseguire anche perché la scoperta di un misterioso vegetale ha già fornito al gruppo sufficiente materiale per la scoperta scientifica del secolo. Jaeger Clade, però, non demorde e imperterrito continua da solo la scalata.

Passano due decenni, Jaeger non è più tornato e viene celebrato come un eroe dagli abitanti di Avalonia, il nuovo Paese nato grazie alla portentosa scoperta di Searcher, il pando, una pianta che genera dei frutti capaci di tramutarsi in energia elettrica e alimentare qualsiasi macchinario. Ora Searcher è sposato e ha un figlio, Ethan, che mal sopporta l’idea di proseguire il mestiere di agricoltore di suo padre e sogna invece un futuro di avventure, come quello del nonno che non ha mai conosciuto.

Quando le coltivazioni di pando cominciano a mostrare una pericolosa infestazione di parassiti che potrebbe distruggere interamente le colture di Avalonia, Searcher parte per un viaggio al centro del pianeta per disinfestare il cuore del pando. L’uomo non immagina, però, che suo figlio Ethan è clandestino a bordo del veicolo e che nel suo viaggio potrà scoprire il vero valore dei rapporti famigliari.

Don Hall, nuovo uomo di fiducia della scuderia Disney che ha già diretto Oceania, Raya e l’ultimo drago e il premio Oscar Big Hero 6, dirige l’intrigante sceneggiatura di Qui Nguyen con un piglio classicheggiante che sembra ancorarsi fortemente a certo cinema avventuroso per ragazzi che ha dominato il boxoffice tra gli anni ’60 e gli anni ’80. Il rude Jaeger Clade è quell’eroe senza macchia e senza paura che primeggiava in quelle avventure, un uomo dal fisico prestante e dal grande coraggio – che a volte fa rima con incoscienza – pronto a salvare la situazione. Ma è anche una persona orgogliosa, che non sa e non vuole ammettere i propri errori, in primis un eccesso di egocentrismo che si riflette sulle insicurezze del figlio Searcher, chiamato a seguire le orme del padre anche se non vi è palesemente portato e i suoi interessi sono più scientifici.

Searcher rappresenta la generazione degli odierni trenta-quarantenni, quelli che sono stati adolescenti negli anni ’90 o primi 2000 e che sono cresciuti con la tecnologia che faceva passi da gigante di giorno in giorno. Ma abbiamo anche Ethan, rappresentate dei centennials, la cosiddetta “generazione z”, un nativo digitale che vede il proprio genitore tardo millennial allo stesso modo di come Searcher vedeva suo padre Jaeger. Eh già, perché Ethan si sente nella stessa trappola dell’eredità da seguire, della paura di disattendere le aspettative del genitore che lo vorrebbe un agricoltore e scienziato talentuoso tanto quanto lui. Ethan, invece, non sa ancora cosa sarà del suo futuro, cosa vuole, gli piace l’avventura ed è troppo introverso per dichiarare il suo amore al coetaneo Diazo, sta cercando una propria dimensione e il fiato sul collo di suo padre non lo aiutano a trovarla.

Strange World – Un mondo misterioso parla di queste tre generazioni e parla a tre ideali generazioni di spettatori differenti, con l’intelligenza e il tatto che contraddistingue da sempre la Disney. Ogni spettatore si rispecchierà in ciascuno dei tre Clade, è inevitabile, e lo farà grazie a un terzetto di protagonisti così ben raccontati e sviluppati a cui è impossibile non affezionarsi.

Un ostacolo in Strange World lo troviamo, però, nel contesto e nelle dinamiche che vengono a crearsi al di fuori del terzetto di protagonisti. Nel suo voler essere classico, il film di Don Hall è anche molto risaputo, perfino già visto, lasciando da parte quell’originalità immaginifica e quel sense of wonder che spesso permeano i prodotti Disney. Questo è un problema che si riflette da qualche anno a questa parte nei film d’animazione della casa di Topolino, pensiamo a Raya e l’ultimo drago o Encanto, prodotti medio-buoni ma poco memorabili e pigri. Stange World, per almeno tre quarti della sua durata e al netto della già citata ottima scrittura dei protagonisti e un gran lavoro nel design scenografico, sembra seguire quella strada di anonimato preponderante finché… finché c’è un bel twist narrativo che dona all’intera avventura una lettura alternativa ambientalista che dà un senso differente a quello che abbiamo visto fino a quel momento. E così troviamo quel quid che fa di Strange World – Un mondo misterioso il miglior classico Disney almeno dai tempi di Zootropolis.

Inoltre, non va assolutamente sottovalutato lo slancio all’inclusività che la Disney sta portando avanti in questi ultimi anni e che in Strange World raggiunge il suo punto, al momento, più compiuto eleggendo a protagonista di un film d’animazione un ragazzo omosessuale; una scelta che sarebbe stata impensabile solo qualche anno fa e che, oltre a far inevitabilmente discutere, ha già fatto entrare Strange World nella “storia” del cinema d’animazione per famiglie.

Roberto Giacomelli

PRO CONTRO
  • I tre personaggi protagonisti sono ben delineati.
  • La storia riserva sorprese e ha un bel messaggio.
  • Graficamente accattivante.
  • Per tre quarti della sua durata si adagia su standard che potrebbero minarne la memoria.
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