The Conjuring – Il caso Enfield, la recensione

Forte dell’esperienza già maturata nel campo dell’horror soprannaturale con il sottovalutato Dead Silence e il più noto Insidious, James Wan è la scelta su cui la Warner nel 2013 ha investito per la regia di The Conjuring – L’evocazione. Ispirato alle vere indagini dei coniugi esperti di paranormale e demonologia Ed e Lorrrain Warren, e più specificamente al caso che seguirono nel 1970 a Harrisville, nel Rhode Island, The Conjuring non solo è stato un incredibile successo di botteghino, ma ha confermato il grande talento di James Wan, imponendosi come uno dei film horror più riusciti e spaventosi degli ultimi dieci anni. Ora alle avventure cinematografiche dei Warren si aggiunge un nuovo tassello e The Conjuring – Il caso Enfield ricostruisce un’altra manifestazione paranormale studiata dalla coppia.

Questo sequel inizia proprio dove terminava il primo capitolo, ovvero con la celebre casa infestata di Amityville, sempre nel Rhode Island. Al centro di un clamore mediatico senza precedenti, l’abitazione di Amityville, che aveva visto prima la strage della famiglia De Feo a opera del primogenito e poi l’infestazione paranormale di cui sono stati testimoni gli inquilini successivi, i Lutz, è stata protagonista di libri, dibattiti e perfino una lunghissima saga horror cinematografica (12 film tra cui alcuni apocrifi e un remake prodotto da Michael Bay). Visto che di Amityville si è, dunque, parlato a lungo altrove, intelligentemente The Conjuring 2 limita a questo argomento il prologo, introducendo una presenza demoniaca che tornerà durante tutto il film a perseguitare proprio l’incolumità dei Warren.

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A seguito di questo evento, Ed e Lorraine finiscono sotto i riflettori e vengono perfino accusati di essere dei ciarlatani e approfittare della credulità delle persone, il che li spinge a prendersi un periodo di pausa, dettato anche dalle nefaste premonizioni che Lorraine ha avuto ad Amityville. Ma è in questo momento che i coniugi vengono contattati dalla Chiesa per accertarsi dell’autenticità di un caso di possessione che sta facendo parlare molto di sé.

Siamo nel 1977 e a Londra, nel quartiere di Enfield, la famiglia Hodgson è vittima di uno spirito che non solo tenta di scacciarli di casa, ma possiede anche la piccola Janet reclamando attraverso la sua voce la proprietà dell’abitazione. Al caso stanno già lavorando la parapsicologa tedesca Anita Gregory e l’investigatore del paranormale Maurice Grosse.

All’epoca il caso Enfield è stato il più documentato della storia della parapsicologia con foto, video e registrazioni vocali che testimoniavano una certa propensione esibizionista dello spirito e da quel materiale, nonché dalla consulenza della vera Janet Hodgson e di Lorraine Warren è costruito il film.

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Partiamo subito da un presupposto: The Conjuring – Il caso Enfield fa paura davvero, è uno di quei film che riesce a giocare con la tensione e incutere una tale inquietudine che non ti abbandona neanche a visione terminata, quindi se siete facilmente suggestionabili, valutate l’eventualità di passare una notte in bianco. Va da se, dunque, che siamo dinnanzi a un grande film dell’orrore, una di quelle esperienze che lasciano completamente soddisfatti gli spettatori in cerca di brividi.

Così come accadeva in The Conjuring – L’evocazione (e già nei primi due Insidious), Wan ci dimostra di essere un vero maestro nel generare tensione senza ricorrere agli espedienti che normalmente vengono utilizzati per strappare il facile salto dalla poltrona. Wan ha un talento particolare nel suscitare paura con pochissimi elementi: perfetta gestione delle inquadrature, utilizzo della musica (del fidato e talentuoso collaboratore Joseph Bishara) e il buio. Già, il buio, perché negli horror di Wan c’è sempre una scena in cui la minaccia non è visibile dallo spettatore ma è raccontata da un personaggio e si svolge in una porzione di buio. Pensiamo alla scena del sogno raccontato nel primo Insidious, oppure alla presenza che impaurisce da dietro la porta la figlia dei Perron in The Conjuring. Si tratta di scene che fanno letteralmente accapponare la pelle e non c’è ricorso né a violenza né ad effetti speciali. The Conjuring – Il caso Enfield torna a “giocare” col buio e amplifica questo espediente in diverse scene che difficilmente si dimenticheranno. Ed è proprio questo il pregio di questo film, l’impressionante numero di trovate spaventose che vanno brillantemente a segno.

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Il secondo The Conjuring dura molto, 133 minuti, decisamente troppo per gli standard di un film horror, infatti è molto denso di eventi che non si limitano al solo caso degli Hodgson, ma riguardano anche la sfera personale dei Warren. Eppure questo film non lascia distrarre lo spettatore neanche un minuto, anzi riesce a tenere desta l’attenzione e alta la tensione per tutta la sua durata. Un dato piuttosto singolare che sottolinea la bontà della sceneggiatura firmata dallo stesso Wan insieme ai fratelli Hayes e David Leslie Johnson, e la maestria dietro ogni singolo elemento, artistico e tecnico. Perché The Conjuring 2 non è un film essenziale nella narrazione, anzi c’è una tendenza alla prolissità che però è ripagata dal giusto approfondimento di tutti i personaggi e da una serie di intuizioni che puntano davvero a rimanere nell’immaginario dell’horror, come la magnifica scena del quadro o la materializzazione dell’Uomo Storto, inquietantissimo boogeyman di una filastrocca del XIX secolo che terrorizza il figlio più piccolo degli Hodgson.

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Nella sua struttura, The Conjuring – Il caso Enfield è praticamente speculare al primo film: il prologo che ci racconta un caso precedente dei Warren, l’introduzione delle nuove vittime immerse nella loro quotidianità (stavolta si tratta di una famiglia londinese proletaria e in difficoltà economiche in cui manca la figura paterna), qualche brano musicale che riesca a temporalizzare il racconto, la manifestazione paranormale, l’intervento dei Warren e il climax finale. C’è perfino il piano sequenza che ci mostra i componenti della famiglia che si muovono nella loro casa con passaggio di testimone, il che ci dice come tutti siano voluti andare sul sicuro. Ma, forse anche per questo eccesso di zelo, The Conjuring – Il caso Enfield funziona tanto quanto il film che l’ha preceduto.

Vera Farmiga e Patrick Wilson sono ancora una volta i coniugi Warren, dimostrandoci una particolare sintonia con questi personaggi; in particolare la Farmiga sembra essere aderente a Lorraine e ci conferma quanto sia un’attrice professionale e intensa. Tra le new entries va segnalata soprattutto la giovane Madison Wolfe, già nota al pubblico televisivo per aver vestito i panni della figlia di Woody Harrelson in True Detective, qui nel ruolo della posseduta Janet Hodgson.

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Una curiosità che forse non tutto conoscono: il compositore Joseph Bishara interpreta sempre il ruolo dell’entità demoniaca nei film di James Wan: in Insidious era il Demone con il volto sporco di rossetto, in The Conjuring la strega Bathsheba, in Annabelle il Demone e in The Conjuring 2 è ancora una volta un demone.

Insomma, The Conjuring – Il caso Enfield non solo conferma il grande talento di Wan, che lo fa entrare ormai nella cerchia dei contemporanei Maestri del terrore, ma si appresta a diventare un grande classico del cinema dell’orrore, come sempre più raramente accade al giorno d’oggi.

Roberto Giacomelli

PRO CONTRO
  • Fa paura.
  • Solita ottima gestione del buio.
  • Attori molto aderenti alla parte che interpretano.
  • Ottima ricostruzione degli anni ’70.
  • Diretto in maniera impeccabile.
  • È già un classico del cinema horror.
  • 133 minuti sono tanti per un film horror.
  • Trova delle soluzioni un po’ facili per risolvere l’intreccio.

 

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