The Monkey, la recensione

Stephen King, James Wan e Osgood Perkins. Tre nomi che gli amanti del genere horror di ieri e di oggi ben conoscono e stimano. Una Trinità che forse non avremmo mai immaginato raggruppata a dar vita un unico progetto che prende il titolo di The Monkey.

Chi segue il “Re” del Maine ben sa a cosa si riferisce questo titolo, ovvero uno dei primi racconti lunghi di King, La scimmia, pubblicato per la prima volta a puntate sulla rivista Gallery nel 1980, è poi diventato parte dell’antologia Scheletri, ispirandone anche la copertina. Nel progetto cinematografico The Monkey, Stephen King è solo l’ispiratore. Ad aver voluto il film, invece, in veste di produttore con la sua casa Atomic Monster, è James Wan, nome oggi stra-noto del panorama horror per aver dato inizio al fenomeno Saw dirigendo il primo mitico capitolo e per aver diretto autentiche perle dell’horror contemporaneo come Dead Silence, The Conjuring, Malignant e Insidious. Osgood Perkins, invece, in The Monkey è regista e sceneggiatore, oggi salito alla ribalta tra i più richiesti nel genere horror per il successo del mefistofelico Longlegs ma in precedenza iniziatore della new-wave horror-arthouse con il trittico February, Sono la bella creatura che vive in questa casa e Gretel & Hansel.

Un’unione di talenti che, sulla carta, è l’orgasmo segreto di ogni horrorifilo e che, purtroppo, nei fatti si è tradotto in una grossa delusione.

I fratelli gemelli Hal e Bill trovano in una scatola un vecchio giocattolo appartenuto a loro padre, una scimmia a carica che batte le bacchette su un tamburello. Giri la chiave e la scimmia si esibisce in un poco divertente concertino. Il problema è che, quando la scimmia batte l’ultimo colpo su tamburo, qualcuno muore in maniera orrenda e quel qualcuno è irrimediabilmente collegato a chi ha girato la chiavetta della carica. La prima a fare una fine grottesca è Annie, la babysitter di Hal e Bill, a cui faranno seguito altre persone care ad Hal, finché il ragazzino capisce di essere il responsabile di queste morti e insieme al fratello decide di liberarsi della scimmia, gettandola nel fondo di un profondo pozzo.

Trent’anni dopo, Hal e Bill si sono persi di vista e il primo ha una situazione famigliare piuttosto travagliata, con un divorzio in corso e un figlio adolescente che ha deciso di vedere il meno possibile. Ed è proprio quando Hal dovrà prendersi cura di suo figlio Petey che la scimmia farà di nuovo, inspiegabilmente, la sua comparsa.

Come spesso accade per le opere del grande King, nel racconto La scimmia c’era già tutto quello che bastava per farne un film, nonostante la brevità di una quarantina di pagine circa. Non è una cosa passata inosservata, visto che già nel 1984 Kenneth J. Berton ne aveva tratto palesemente ispirazione per il suo strampalatissimo Il dono del diavolo. Ma ora che si è deciso di far sul serio trasponendo ufficialmente il racconto di King, qualcosa è comunque andata storta perché si è scelto di seguire un filone ben preciso, quello della horror-comedy, affidando il compito a un autore che non è capace di far ridere.

Parliamoci chiaramente, Oz Perkins è un talento vero, ce lo sta dimostrando da anni, e la sua opera più matura, ambiziosa e riuscita è proprio quel Longlegs che l’ha fatto conoscere anche al grande pubblico. Il problema è che i film di Perkins precedenti a The Monkey erano seri come infarti e la cifra dell’ironia, forse, non è particolarmente nelle sue corde dal momento che The Monkey non fa ridere, a tratti forse sorridere, ma diverte molto meno di quanto dovrebbe e, di conseguenza, di spaventi neanche a parlarne.

Ambientato tra gli anni ’90 e il presente, The Monkey riscrive pesantemente il soggetto di King a cominciare dalla scelta di trasformare Hal e Bill in due gemelli e rendere il loro rapporto talmente conflittuale da trasformarli in avversari. Questo dà la possibilità al film di esplorare le due facce della stessa medaglia in maniera abbastanza chiara, il Bene e il Male, la Vita e la Morte affrontando soprattutto il principio della casualità. Una ruota che gira e può fare di Hal un eroe così come un cattivo, allo stesso tempo della scimmietta che batte il tamburo e può colpire con un fulmine questa o quella persona.

Un concetto abbastanza interessante che ben si presta anche a portare in scena incidenti in stile Final Destination, sempre più esagerati e paradossali al punto tale che il film inizia a trovare le sue scene madri proprio attorno ai decessi incredibili causati dalla scimmia. Evidentemente, proprio per distaccarsi dalla nota saga sulla Morte e per evidenziare l’aspetto bambinesco di un giocattolo che uccide, si è deciso di spingere tutto verso il grottesco, che sovente si trasforma in surreale e a tratti in demenziale. A tal punto che The Monkey sembra adottare il linguaggio dei cartoni animati di Tex Avery, come sarebbe dovuto essere The Mask di Chuck Russell ma poi non è stato. Il ché ci può stare, è una scelta stilistica ben precisa che indubbiamente conferisce personalità all’opera, ma Perkins non sembra mai a suo agio con quello che sta facendo e gli incidenti domestici non fanno mai esplodere in una risata liberatoria come accade in un capitolo qualsiasi di Final Destination, ne riescono mai a generare tensione o inquietudine.

A inquietare tantissimo è invece la scimmietta del titolo, chiaramente voluta proprio da James Wan vista la sua nota “passione” per i giocattoli demoniaci. Curiosamente, la scimmia sul racconto di King batte i piatti e non suona il tamburo, giocattolo realmente esistente e visto dall’autore del Maine durante un suo soggiorno a New York, venduto da un ambulante fra la Quinta e la Quarantaquattresima strada. Ma il mondo del cinema (e dei copyright) è infame e quella scimmietta che batte i piatti, vista in Toy Story 3 come guardia della zona giochi dell’asilo, è “proprietà” della Disney e quindi per The Monkey si è dovuto optare per una variante con tamburo. Fatto sta che la scimmia del film è dannatamente inquietante e non avrebbe assolutamente sfigurato in un horror “serio”.

Theo James della serie The Gentlemen e della seconda stagione di The White Lotus è sia Hal che Bill, sua madre Lois è interpretata da Tatiana Maslany di She-Hulk e Rohan Campbell di Halloween Ends è un personaggio chiave che non vi sveliamo, mentre Elijah Wood compare in un cammeo, così come lo stesso Osgood Perkins, che è lo zio Chip, forse il personaggio che muore peggio di chiunque altro.

A conti fatti, The Monkey è un “gioco”, è una partita a freccette in cui Perkins non si avvicina mai al centro, un film un po’ scemo che rischia di deludere gli spettatori del genere horror ma ha la possibilità di conquistare gli spettatori più giovani, quegli adolescenti che per un pelo non restano fuori dalla sala per il divieto ai 14 che il film si è comunque beccato.

Capitolo chiuso, sfizio tolto, ora, caro Perkins, torniamo a fare sul serio.

Roberto Giacomelli

PRO CONTRO
  • Il look della scimmia.
  • Alcune morti particolarmente esagerate.
  • Una commedia horror che non fa ridere ne spaventa.
  • Il tono eccessivamente grottesco di alcune scene e il finale surreale che non sembra portare a nulla.
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Valutazione: 5.5/10 (su un totale di 2 voti)
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The Monkey, la recensione, 5.5 out of 10 based on 2 ratings

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