Insidious, la recensione
La famiglia Lambert si è appena trasferita in una nuova casa. Scricchiolii, strani rumori e cose fuori posto sono all’ordine del giorno ma si sa, una casa nuova e il disordine del trasloco possono fare di questi scherzi. Un giorno il piccolo Dalton, mentre gioca in soffitta, cade da una scala, batte la testa e vede qualche cosa di sinistro in un angolo. Le sue urla attirano l’attenzione dei genitori Josh e Renai, ma sembra che non ci sia nulla di preoccupante. La mattina dopo, quando Josh va a chiamare Dalton per andare a scuola si accorge che il bambino non si sveglia. I dottori non sanno cosa pensare: nessun trauma, niente di rotto, è come se Dalton si trovasse volontariamente in coma. Passano tre mesi e il bambino versa ancora in quelle condizioni, accudito in casa dalla mamma Renai. Ma nel frattempo rumori e strane presenze si sono manifestate alla donna facendosi sempre più insistenti e violente. Con i nervi a pezzi, Renai chiede al marito di trasferirsi perché convinta che la loro casa sia infestata da una presenza maligna. Giunti in una nuova abitazione i coniugi si rendono conto che gli strani eventi persistono e che probabilmente ad essere infestata non è la casa…
Tra i più talentuosi registi di cinema horror contemporaneo vi è senza ombra di dubbio James Wan, che ha iniziato come co-autore della saga culto Saw passando con assoluta nonchalance da suggestioni classiche a stile moderno pur lasciando ben impressa la propria firma.
Ma dopo l’incredibile fortuna di Saw, il difficile è arrivato con l’opera seconda, perché dopo una partenza col botto era arduo fare di meglio. In effetti il bellissimo Dead Silence (2007) deluse al botteghino e ancor peggio si era comportato l’altrettanto meritevole Death Sentence (2007). Poi è arrivato Insidious a sollevare le sorti della carriera di Wan e con un budget minuscolo di appena 1,5 milioni di dollari, è riuscito a incassare 54 milioni di dollari sono in America e oltre 100 nel resto del mondo. Perché questo inaspettato successo? Perché il film è bellissimo e fa paura davvero, verrebbe da rispondere, ma è probabile anche che quello in cui uscì – l’ormai lontano 2010 – fosse semplicemente il momento giusto per il filone delle case infestate e dei demoni casalinghi, inaugurato con successo da Paranormal Activity.
E infatti non pochi sono i punti di connessione tra la saga mockumetary e il film di Wan, a cominciare dai produttori comuni Jason Blum, Jeanette Brill, Steven Schneider e Oren Peli (quest’ultimo anche regista del primo Paranormal Activity!) per proseguire sulla tematica di base molto simile. Wan però ci tiene a seguire un percorso personalissimo che in primis possa ancorare la sua opera all’universo del cinema classico/moderno sulle case infestate. La matrice primigenia è senza dubbio il Poltergeist – Demoniache presenze di Tobe Hooper, citato a più riprese e menzionato dal regista stesso come sua fonte primaria di ispirazione. Ma non c’è solo il film del 1982 in Insidious, bensì possiamo trovarvi tutti i topoi del cinema delle dimore maledette, dal gotico anni ’60 per le atmosfere funeree e le ampie porzioni di buio, ai massacri di amityvilliana memoria fino ai “cheap scaries” più attuali. Capirete che non è dunque obiettivo di questo film risultare originale, piuttosto mescolare gli ingredienti per un film godibile e di genuino terrore. Perché questa è la cosa che meglio riesce a Insidious, spaventare. Quasi due ore colme di momenti da sbalzo sulla poltrona e pelle d’oca assicurata, ma non si tratta solo di spaventi facili affidati al sonoro lanciato in maniera scriteriata (anche se non mancano i classici giochi affidati all’alternanza dei piani sonori), ma di vera e propria preparazione della tensione, sottile suspense gestita magnificamente da sequenze costruite ad arte per inquietare.
La sceneggiatura del fidato Leigh Whannell (che compare anche come attore nei panni di uno egli assistenti della medium) è costruita bene, con lo scopo di raccontare una storia credibile nella sua assurdità, paradossalmente realistica; inoltre i personaggi sono dotati di una giusta caratterizzazione psicologica e non manca perfino qualche gradito colpo di scena. Unico rimprovero va all’inspiegata uscita di scena dei figli più piccoli della coppia protagonista.
Il bello è che Insidious, oltre alla perfezione formale data anche da una bella e cupa fotografia (opera di David M. Brewer e John R. Leonetti) e una sintomatica propensione per lo spavento, ha anche il merito di dare alla luce una suggestiva figura di boogeyman. Il demone nero dal volto di fiamme e dalle zampe caprine mette paura e la sua ossessione per il piccolo Dalton ha tutte le caratteristiche per annetterlo alla nutrita schiera di incarnazioni cinematografiche dell’uomo nero. Bellissima, poi, la scena in cui lo vediamo nel suo antro colmo di pupazzi e marionette (vera ossessione per James Wan!) mentre si affila gli artigli. Perfetta caratterizzazione da ba-bau!
Menzione particolare alle musiche di Joseph Bishara (che poi ha anche dato corpo al suddetto demone), una serie di suoni battenti atonali di piano e di violini striduli che danno un reale senso di inquietudine e di disagio, nonché chiari richiami a pellicole del passato. Insidious, in fin dei conti, possiede questo carattere atemporale che lo fa sembrare un film del passato, particolarmente ancorato agli anni ’80, pur conservando una predisposizione agli stili più moderni, quasi da videoclip…a proposito non sarebbe strano se a qualcuno venissero in mente i video di alcune canzoni di Marilyn Manson nelle scene in cui Josh vaga nella dimensione dell’Altrove.
Ottimi gli attori principali Patrick Wilson e Rose Byrne che danno vita a una coppia credibile in cui lui è un po’ distratto e superficiale ma sempre pronto ad accontentate la consorte e lei è responsabile e fragile. Degna di nota anche la caratterista Lin Shaye che qui interpreta la medium Elise.
Insomma, Insidious è un film che vale, un bel viaggio nella casa degli orrori che ognuno di noi da bambino immaginava fissando da fuori la rispettiva attrazione del luna park.
Curiosità. Nella scena in cui Josh Lambert/Patrick Wilson è in classe a lavoro, si può vedere chiaramente sulla lavagna dietro di lui, disegnato con il gesso, il volto di Billy, il pupazzo caratteristico della saga di Saw con un misterioso “8” sottostante. Billy è ricorrente nascosto anche negli altri film di Wan.
Roberto Giacomelli
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