The Nest – Il nido, la recensione
Quello che accade a Villa dei Laghi è un mistero. Un mistero tacito, quasi un “macguffin”.
Perché il giovane paraplegico Samuel è costretto a vivere tra le mura della magione senza la possibilità di spingersi oltre il cancello? Cosa accade durante la notte tra i corridoi della villa? Cosa trama Elena, madre di Samuel, e il gruppo di persone che popolano la tenuta e sembrano appartenere a una setta? Ma soprattutto, cosa c’è fuori dai confini di Villa dei Laghi?
Una serie di domande si accumulano durante la visione di The Nest – Il nido, lungometraggio d’esordio di Roberto De Feo, domande che arrivati a un certo punto sembrano quasi destinate a non aver risposta, almeno non fino in fondo, finché tutta la verità esplode deflagrante in uno dei finali più suggestivi e terrificanti di questa annata cinematografica.
Classe 1981 e un passato votato al genere con due validissimi cortometraggi dai toni cruenti e crepuscolari (Ice Scream e Child K), Roberto De Feo avvia il suo percorso nel lungometraggio ancorandosi a una tradizione horror-gotica dai connotati molto personali. The Nest – Il nido è prodotto da Colorado Film, una delle istituzioni italiane quando si parla di commedia e che dallo scorso anno si è aperta al cinema più dark con l’ottimo successo del thriller di Donato Carrisi La ragazza nella nebbia.
Alla base di The Nest c’è la precisa idea di realizzare un film horror fortemente autoriale che possa competere sul mercato internazionale senza scimmiottare necessariamente la nobile tradizione orrorifica nostrana. E così la suggestiva atmosfera gotica che si avvale di una scenografia magnifica ricavata da una tenuta di fine ‘800 sita in provincia di Torino è solo il contesto per raccontare una storia piuttosto originale che cerca illustri esempi nel miglior cinema di M. Night Shyamalan e nelle incursioni horror di Alejandro Amenabar. Ma quella a cui assistiamo in The Nest non è una ghost story e l’elemento soprannaturale si defila dietro una sapiente gestione degli spazi e dei personaggi. Infatti, essenzialmente, The Nest è un film fortemente ancorato alla scrittura dei suoi protagonisti che rappresentano un ideale microcosmo caratteriale adatto a offrire una lettura della società attuale.
Samuel è l’innocenza inconsapevole di chi ha vissuto tutta la vita in una comfort zone creata ad hoc per lui. Samuel è l’uomo che vive in dei confini predefiniti e ogni suo sapere è indotto, non ha mai tastato con la sua mano ma ogni conoscenza è mediata.
Elena, sua madre, è un despota amorevole e attento, ha creato quella comfort zone ed è determinata a tenerla intatta per preservare la sua creatura da una minaccia esterna indefinita, indefinibile, forse inesistente. Elena è vista come il villain della situazione, ma forse non lo è… forse è il suo amore a renderla cattiva agli occhi di chi guarda. Forse.
Come è facile aspettarsi, la reclusione, la negazione della libertà possono avere un effetto opposto alle intenzioni e creano ribellione, curiosità, spinta all’emancipazione. Un’emancipazione che nella vita di Samuel ha le sembianze di Denise, una ragazzina che viene da “fuori”, che ha “vissuto” e il suo sapere non è mediato ma diretto. Denise, oltre a rappresentare per Samuel l’oggetto del desiderio sessuale, la scoperta della stessa sessualità, è anche sinonimo di libertà, di conoscenza, di trasgressione. Le sigarette, i baci, la musica rock… tutto un mondo sconosciuto al ragazzino che ora si apre all’improvviso davanti a lui. Per Elena diventa impossibile contenere questa curiosità, questa sete di scoperta, e così il “nido” edificato in questi anni è pronto ad essere violato e il suo bambino a prendere il volo.
Questi concetti, sviluppati su tre personalità molto forti, emergono con grande precisione e ottima scrittura in The Nest grazie a una sceneggiatura – curata da Lucio Besana e Margherita Ferri – attenta e coraggiosa nel prendersi i tempi necessari per accompagnare lo spettatore verso uno sviluppo finale sorprendente che fa quadrare ogni elemento del racconto che in un primo momento poteva apparire superfluo o intruso.
Un racconto di formazione che utilizza il linguaggio dell’horror gotico per capovolgere poi le carte in tavola e trasformarsi in altro. Notevole, non c’è che dire!
Alla riuscita di The Nest – Il nido contribuiscono comunque anche un comparto tecnico e artistico di tutto rispetto. All’attenta regia di De Feo, precisa nello sfruttare la magnifica location a disposizione, si unisce un’ottima fotografia curata da Emanuele Pasquet, crepuscolare e vicina a certe suggestioni hammeriane. Un ruolo primario nel film lo hanno anche le musiche, soprattutto il contrasto – forse anche un po’ insistito – tra il background classico di Samuel (la Sonata al chiaro di luna di Beethoven che suona al piano prima di incontrare Denise) e la trasgressione rock portata dalla ragazza (Where is my Mind dei Pixies), che rappresentano i due universi tra cui il giovane protagonista si divide nelle quasi due ore di durata del film.
Ovviamente se The Nest riesce a coinvolgere lo spettatore e lo trasporta in un universo altro, nonostante i ritmi non proprio movimentati, è anche grazie alla bravura degli interpreti. Sicuramente a spiccare è Francesca Cavallin che dà corpo alla dispotica madre: background nella fiction (Un medico in famiglia, Rocco Schiavone), qualche incursione nella commedia cinematografica (I babysitter) e un’interpretazione particolarmente intensa, costantemente in bilico tra il severo e l’amorevole. Molto bravi anche i più piccoli, Justin Korovkin e soprattutto Ginevra Francesconi, che riesce a mantenere una certa innocenza mista a grinta nonostante il suo personaggio deve anche apparire conturbante.
Insomma, The Nest – Il nido è un horror capace di distinguersi nella massa, elegante, ricco d’atmosfera e con un’idea forte alla base. Sarà nei cinema dal 15 agosto distribuito da Vision Distribution, contemporaneamente al Festival di Locarno dove è in competizione.
Roberto Giacomelli
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