Titane, la recensione

<<Dovunque vi saranno molte macchine per sostituire gli uomini, vi saranno sempre molti uomini che non sono altro che macchine>>

Louis de Bonald

Con un coup de théâtre che ha spiazzato molti, la giuria del 74° Festival di Cannes ha premiato con la Palma d’oro Titane, l’opera seconda di Julia Ducournau, un film tanto affascinante e complesso quanto repellente, ostico, animalesco.

Chi ha già visto Raw – Una cruda verità (2016), l’opera prima della regista francese, può farsi una mezza idea su cosa aspettarsi in Titane, ovvero un hellzapoppin’ di suggestioni che giocano con l’orrore, la scoperta di se stessi e la ricerca dello shock visivo ed emotivo e fuggono da una vera e propria classificazione di genere. Con Titane, Julia Ducournau si spinge decisamente oltre il suo film sul cannibalismo e costruisce un oggetto molto particolare e sfaccettato che gioca con il genere horror inserendolo in un discorso sulla mutazione corporea decisamente estremo.

Alexia ha una placca di titanio nella testa, impiantatale da bambina come conseguenza di un incidente automobilistico da lei causato. Una volta cresciuta, la ragazza ha instaurato un rapporto morboso con le automobili tanto da mettere una Cadillac al centro della sua esibizione come ballerina nel locale di striptease in cui lavora. Un’attrazione che diventa presto sessuale e porta Alexia ad avere letteralmente un rapporto con la Cadillac. Allo stesso tempo, la ragazza sviluppa un’aggressività che la conduce a commettere degli efferati omicidi e, come conseguenza, fugge di casa ricercata dalla polizia e prende l’identità di Adrien, un ragazzo scomparso dieci anni prima.

Senza ombra di dubbio Julia Ducournau guarda alla lezione di David Cronenberg ma, nonostante l’attinenza tematica con il suo Crash (1996), va a ritroso nel tempo fino alle prime opere dell’autore canadese, quelle più viscerali e disturbanti, come Rabid – Sete di sangue (1977) e Brood – La covata malefica (1979). Si tratta di un approccio molto fisico al tema della mutazione corporea che, nel caso di Alexia, è anche una mutazione nel comportamento e di genere.

La ragazza, esplicitamente disturbata fin da bambina, fa del suo corpo un’arma di emancipazione sessualizzandolo e negandone la sessualizzazione secondo necessità. La fusione con la “macchina” avviene con l’intervento chirurgico che la dota di un corpo in parte metallico, di titanio, redendola in una minima componente androide; una fusione che poi si completa attraverso la sua attrazione sessuale per la Cadillac che la porta ad avere un rapporto con lei, anzi lui. Da ballerina sexy, stripper, Alexia comincia la sua seconda trasformazione, quella in uomo. L’esplosione di sensualità femminile che caratterizza la ragazza nei primi momenti del film, in cui la vediamo esibirsi in una danza e poi far la doccia insieme alle colleghe, va a poco a poco verso l’androginia fino a una volontaria negazione della propria identità di genere. Alexia diventa Adrien, deve celerare continuamente i suoi tratti femminili, trasformare drasticamente anche la fisionomia del volto attraverso drastiche e dolorose soluzioni “fai da te”, ma soprattutto deve nascondere quello che ha dentro, una misteriosa vita che sta crescendo e che porterà Alexia/Adrien all’ultimo stadio della trasformazione.

Titane non è un film facile, sicuramente non è un film adatto a tutti i palati. Fin dall’inizio chiede allo spettatore di scendere a patti e non esigere realismo, accettare una sospensione dell’incredulità crescente. Titane è anche un film disturbante nel senso più basico del termine: c’è violenza gratuita, nudità che mette a disagio, vengono compiute azioni deplorevoli e mostrate cose che possono anche urtare la sensibilità di qualcuno. È un film adulto per adulti che chiede concentrazione e un minimo di capacità analitica da parte dello spettatore.

Titane è film bellissimo, un’opera stratificata che racconta la donna e il processo di emancipazione senza mai scadere nella retorica, descrive la fluidità di genere senza mai volerla davvero affrontare, riflette sull’identità deflagrandone ogni assunto di conformazione sociale, ma soprattutto parla di amore paterno, quello che lega un padre all’idea stessa di esserlo al di là del legame biologico con il figlio. E se l’esordiente Agathe Rousselle nel ruolo della protagonista è una scoperta eccezionale (sentiremo parlare di questa attrice, siatene certi!), il veterano Vincent Lindon nella parte del padre di Adrien va decisamente oltre restituendoci un’interpretazione intensa, divertente e commovente.

In parte dramma sociale, sicuramente un coming of age ma anche un body horror, Titane è un film praticamente unico, tanto bello visivamente e pregno di tecnica registica quanto complesso e sfaccettato narrativamente parlando. Julia Ducournau definisce con quest’opera il suo stile eccentrico ed eccessivo che sicuramente a tanti disturberà e repellerà, ma senza dubbio non può lasciare indifferenti.

Dopo essere stato in anteprima esclusiva al Cinema Troisi di Roma dal 21 settembre, Titane arriverà nei cinema di tutta Italia dal 1 ottobre distribuito da I Wonder Picture e in anteprima dal 29 settembre, in versione originale sottotitolata, in cinema selezionati.

Roberto Giacomelli

PRO CONTRO
  • Agathe Rousselle e Vincent Lindon magnifici.
  • Uno stile registico forte e definito.
  • Affronta tematiche attuali con originalità.
  • Ha un’identità generale fortissima.
  • Richiede una consistente dose di sospensione dell’incredulità e probabilmente disturberà i più sensibili.
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Valutazione: 8.5/10 (su un totale di 2 voti)
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