Un altro ferragosto, la recensione del sequel di Ferie d’agosto
Era il 1996 quando usciva nei cinema italiani Ferie d’agosto, l’opera seconda di Paolo Virzì, quella che l’ha consacrato come nuova voce della commedia all’italiana. Sono passati ben 28 anni da quel film, 28 lunghi anni durante i quali certo cinema italiano e l’Italia nel suo fervore politico e sociale non sembrano cambiati neanche di un giorno. Infatti, lo stesso Virzì, supportato dallo sceneggiatore di allora Francesco Bruni, a cui si aggiunge anche la collaborazione di suo fratello Carlo Virzì, si getta a capofitto in un sequel di quel Ferie d’agosto che riporta in scena tutto il cast di quasi 30 anni fa, con importanti aggiunte e tristi mancanze (Ennio Fantastichini e Piero Natoli). E Un altro ferragosto, incredibilmente, funziona oggi quasi quanto funzionava negli anni ’90 proprio per un inquietante immobilismo nello scenario politico, sociale e cinematografico in cui l’Italia versa. E questo fa riflettere.
Sabrina Mazzalupi è diventata un’influencer molto famosa e sta per sposarsi con il suo manager Cesare. Per la cerimonia, che sarà trasmessa in diretta tv, la donna ha scelto come location l’isola di Ventotene, dove era solita passare le vacanze da bambina e al suo seguito c’è tutta la famiglia Mazzalupi, anche se non ci sono suo padre Ruggero e lo zio Marcello che nel frattempo sono venuti a mancare. Contemporaneamente, sempre a Ventotene, nella casa adiacente a quella presa in affitto dai Mazzalupi, è arrivato Altiero Molino che ha organizzato una reunion con tutta la sua famiglia e gli amici più stretti per far passare un’ultima vacanza nell’amata isola a suo padre Sandro, gravemente malato. Gli idealisti Molino e i cafoni Mazzalupi finiranno inevitabilmente per scontrarsi… un’altra volta!
Cambiano le generazioni, ma non le idee. Visto oggi, Ferie d’agosto appare un film fortemente attuale perché nel 1996 metteva sul piatto uno scontro ideologico esattamente come avverrebbe nel 2024. Questo ci dice come Virzì era al passo coi tempi e in anticipo sugli stessi grazie, soprattutto, all’idea di mettere alla berlina vizi e virtù di due modi di rappresentare l’Italia spaccata tra destra e sinistra. Una commedia corale che riusciva a far sociologia attraverso un linguaggio brillante, una satira di costume mai eccessiva che si trovava in continuità con la grande commedia all’italiana del passato.
Tutto ciò si riflette in Un altro ferragosto che ci riporta a Ventotene quasi trent’anni dopo mostrandoci una situazione davvero molto simile a quella che avevamo lasciato. Al centro del film ci sono i figli, quindi un’altra generazione, si parla di influencer e imprenditori digitali come professioni che vanno a sostituirsi ai commercianti e scrittori di trent’anni fa, ma l’incontro, lo scontro, le idee rimangono le stesse dei loro padri.
C’è l’ingenua Sabrina Mazzalupi, nota sui social come Sabry e interpretata dalla brava Anna Ferraioli Ravel, che ci mostra un particolare cortocircuito tra celebrità e semplicità: lei non è Chiara Ferragni, come imprenditrice forse non è così lungimirante, ma piace ai suoi followers per la sua semplicità e genuinità. Non possiamo dimenticare il suo sguardo critico, quasi di vergogna, verso il padre e la sua insofferenza adolescenziale in Ferie d’agosto, perfettamente coerenti alla sua evoluzione in Un altro ferragosto. Al suo fianco c’è il futuro marito Cesare – interpretato da un bra-vis-si-mo Vinicio Marchioni – una testa calda che arriva dalla militanza nella destra più estrema, con un ottimo fiuto imprenditoriale, un matrimonio fallito alle spalle che continua a perseguitarlo e un secondo matrimonio imminente che sembra un po’ una montatura mediale. La zia di Sabry, Marisa (Sabrina Ferilli), che rimasta vedova si accompagna con l’ingegnere Nardi Masciulli (Christian De Sica), ha intuito la delusione d’amore che all’orizzonte aspetta la nipote e cerca di avvisarla facendole praticamente da madre, dal momento che sua sorella Luciana (Paola Tiziana Cruciani) non ci sta più con la testa da quando ha perso suo marito Ruggero.
Virzì si concentra molto sulla famiglia Mazzalupi fermandosi, questa volta, più su di loro che sui Molino anche se il running time è oggi come allora abbastanza equilibrato tra i due clan. Eppure, i “cafoni” arricchiti che votano il partito di maggioranza, non hanno memoria storica e si pongono come nazionalisti di destra sono caratterizzati meglio, più sfaccettati e simpatici, con almeno tre personaggi che da soli fanno l’intero film: la disillusa Marisa di Sabrina Ferilli, l’accondiscendente e imbranato ingegnere di Christian De Sica e l’irruento Cesare di Vinicio Marchioni.
Dall’altra parte abbiamo i Molino che hanno ancora nel Sandro di Silvio Orlando il punto focale, solo che stavolta l’ex giornalista de L’Unità non sta bene, affetto da una forma di tumore cerebrale che purtroppo avanza troppo in fretta, e attorno a lui e sua moglie Cecilia (Laura Morante) si riuniscono i figli e gli amici storici. In particolare, c’è Altiero, oggi ventisettenne, che in Ferie d’agosto era appena stato concepito, e attorno a lui – interpretato da Andrea Carpenzano – si consuma quel rapporto di affetto mai davvero esploso con il padre.
Altiero ha fatto fortuna con una app di messaggistica, è diventato milionario e vive in America con suo marito Noah, un fotomodello. Un idealista come Sandro sembra non aver mai accettato questo “patto col diavolo del capitalismo” che suo figlio ha fatto e gli ha voltato le spalle; non a caso l’uomo ha un rapporto paterno con il nipotino Tito, che sta istruendo come aveva fatto trent’anni prima con la figliastra Martina, mamma proprio di Tito. Sulla freddezza del rapporto tra padre e figlio e sulla necessità di un loro ultimo incontro si focalizza la storia dei Molino, a cui si unisce una delirante sottotrama di memoria partigiana a cui Sandro sta lavorando insieme al nipotino.
Nonostante il grande carisma di Silvio Orlando, la parte di storia che riguarda i Molino appare più debole, quasi sottotono, priva di quell’energia e quella vitalità che invece c’era in Ferie d’agosto. Il nuovo personaggio di Altiero ci appare monocorde, alcuni aspetti della sua storia – come il rapporto con il marito che sembra quasi essere in crisi – non sono adeguatamente approfonditi; così come il personaggio di Cecilia va avanti quasi per forza di inerzia avvalorato da una backstory sulla sua annosa insicurezza che però non trova la proverbiale quadratura del cerchio.
Irresistibile il monologo finale di Emanuela Fanelli, tanto apocalittico quanto dannatamente divertente.
Paolo Virzì e la sua squadra sono riusciti a confezionare una singolare operazione di sequel tardivo che, come il suo capostipite, riesce a riflettere sull’Italietta che ci circonda quotidianamente. Ovviamente parliamo di un ritratto estremizzato, fatto di “mostri” della nostra società, ma fa riflettere come il passaggio generazionale dipinga un’immobilità del Paese davvero preoccupante.
Un altro ferragosto arriva nei cinema dal 7 marzo distribuito da 01 Distribution.
Roberto Giacomelli
PRO | CONTRO |
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Due parole: Altiero, come Spinelli cavolo.
L’altra è Gliobastoma: l’essenza della decadenza moribonda dei Molino. Eppure nell’ inconscio sopravvivono sogno e coraggio.
Concentramento quando si scrive di un film, no volevo dí Concentrazione!
dillo senza piangere
Ciao Una Spettatrice, grazie per la correzione, il nome del personaggio interpretato da Carpenzano era già stato rettificato stamattina. Occhio che dovete correggerlo anche su Wikipedia! La prossima volta ci metteremo più concentramento… ah no, concentramento è quello degli ebrei! lol
ahahahahahah lasciala perdere evidentemente aveva le sue cose XD