Il grande salto, la recensione

Rufetto e Nello sono due rapinatori cinquantenni che vivono nella periferia romana. Dopo quattro anni di reclusione per una rapina andata male, i due sono tornati alle loro vite povere e insignificanti. Rufetto, tra i due, sembra patire maggiormente la situazione dal momento che, non potendo permettersi una casa propria, vive con la moglie e il figlio a casa dei suoceri che lo odiano. Rufetto e Nello sanno molto bene che non è il caso di arrendersi, occorre fare un ultimo grande colpo, quello decisivo che possa far fare ad entrambi “il grande salto”. Ma riprendere in mano l’attività non è cosa semplice e, dopo una serie di bizzarre disavventure, Nello inizia a convincersi che il destino non sia proprio dalla loro parte.

Dopo quasi quarant’anni di fortunata carriera, il sempre bravo (e simpatico) Giorgio Tirabassi decide di accrescere il suo percorso nello spettacolo passando anche dietro la macchina da presa. Ecco dunque che Il grande salto non è solo il titolo del suo esordio in cabina di regia ma, metaforicamente parlando, assume anche la valenza di una sincera dichiarazione d’intenti nonché un’ottimistica previsione sulla sua attività presente e futura.

Sposando il punto di vista di due rapinatori sgangherati e sfortunati, che lo stesso regista ha ironicamente definito due rapinatori di seconda fascia, l’esordio alla regia di Tirabassi, pur nella sua apparente classicità, rappresenta una piccola scheggia impazzita nel panorama dell’attuale commedia all’italiana.

Il grande salto, infatti, è un film che dimostra di conoscere bene i meccanismi e i caratteri di certa commedia nostrana ma al tempo stesso lascia trasparire un impeto genuino di voler raccontare qualche cosa di nuovo, di diverso, attraverso uno stile molto personale ed un linguaggio narrativo decisamente audace. Una sintesi, talvolta imperfetta ma sempre apprezzabile, di tradizione che incontra l’innovazione.

Non è alla commedia italiana di oggi, infatti, che Giorgio Tirabassi sembra guardare. Il suo sguardo è completamente rivolto alla commedia all’italiana che fu, quella regalataci da grandi maestri del nostro cinema come Mario Monnicelli, Dino Risi o Sergio Citti.

Una commedia “cattiva” e amara, dunque, dominata dal cinismo e in cui la risata diventa il mezzo perfetto per addolcire ed esorcizzare un racconto più che mai drammatico. Allo stesso modo i protagonisti che Tirabassi ci fa conoscere, Rufetto e Nello, rispettivamente interpretati dallo stesso Tirabassi e dallo storico compagno d’avventure Ricky Memphis (un duo noto e apprezzato per anni sul piccolo schermo grazie alla fiction Distretto di polizia), sono due poveracci a cui è impossibile non voler bene. Due completi emarginati, dei reietti a tutto tondo, che faticano a far propria anche l’arte d’arrangiarsi a causa di un destino nefasto che sembra non voler lasciarli nemmeno per un secondo. Un destino particolarmente beffardo e crudele ma che, forse, chiede solo un po’ di pazienza affinché i due possano beneficiare di una ricompensa “più grande” e decisamente inaspettata.

Ed è proprio qui che Il grande salto esibisce tutto il suo coraggio e scocca dal proprio arco le sue frecce più promettenti. L’ultimo atto del film potrebbe sicuramente far storcere il naso a molti, i tanti che hanno dimenticato da dove viene la nostra commedia a causa di una comicità odierna esageratamente addomesticata, eppure è proprio nella fase finale del racconto che Il grande salto vince e convince. Dopo un primo tempo scoppiettante, ricco di belle trovate e momenti comici esilaranti (la sequenza alle poste con il cameo di Valerio Mastandrea ha del geniale), nella seconda parte il film cambia gradualmente tono per abbracciare una narrazione che si fa pian piano sempre più amara ma mai patetica e banale.

Allo spettatore viene chiaramente chiesto di stare con i due anti-eroi protagonisti e, di conseguenza, di “soffrire” con loro dopo aver riso delle loro tante disavventure. Più il film avanza verso i titoli di coda e più il Tirabassi regista ostenta sicurezza, determinazione e padronanza narrativa. Non si preoccupa di dover sottostare a certi schemi imposti dalle produzioni mainstream di oggi, tutt’altro, confeziona un film secondo la logica del cinema indipendente e questo contempla una certa imprevedibilità nel racconto ed una sicura libertà creativa. Il grande salto parte come una commedia divertente, particolarmente ben scritta ma simile a molte altre, e pian piano si trasforma in qualche cosa profondamente diverso, un racconto grottesco e surreale destinato a sfociare in un dramma mistico e bizzarro. Insomma, un anomalo mix di generi e trovate che riescono a tenere sempre alta l’attenzione e l’umore dello spettatore.

Sfruttando la sua fortunata attività attoriale, per la sua opera prima Giorgio Tirabassi coinvolge amici e professionisti dello spettacolo che contribuiscono a tenere alta la qualità dell’opera. Oltre allo stesso Tirabassi e Memphis, ne Il grande salto troviamo anche i bravissimi Gianfelice Imparato, Paola Tiziana Cruciani e Roberta Mattei mentre, a far compagnia al già citato Mastandrea in qualità di camei troviamo anche Marco Giallini e il sempre divertente Pasquale Lillo Petrolo.

Insomma, l’esordio alla regia di Giorgio Tirabassi convince e sorprende dimostrando che il simpatico attore romano ha anche un’idea di cinema piuttosto chiara e fuori dal coro. Adesso aspettiamo fiduciosi la sua vera prova: l’opera seconda.

Giuliano Giacomelli

PRO CONTRO
Tirabassi esordisce dietro la macchina da presa con una commedia molto audace, sicuramente divertente e pronta a prendere le distanze da tanta commedia anonima di oggi.

Un inno d’amore alla commedia all’italiana che fu.

Alcuni momenti comici davvero esilaranti.

Un cast di grande livello.

Nel secondo tempo il film si allontana, gradualmente, dalla comicità per abbracciare toni sempre più amari e riflessivi. Per qualcuno potrebbe essere un difetto, non per noi.
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