Bloodride: la nuova serie horror antologica di Netflix

In un panorama seriale in cui si sta ritrovando il gusto per le stagioni brevi e gli episodi di 30 minuti di durata, Netflix produce (insieme a Monsters Scripted AS) e distribuisce sulla sua piattaforma Bloodride, una serie antologica di origine norvegese creata da Kjetil Indregard e Atle Knudsen. Si tratta di soli 6 episodi dalla durata che oscilla tra i 25 e i 31 minuti, sei storie indipendenti l’una dall’altra che hanno come unica matrice l’intro rappresentato da un bus che conduce i protagonisti delle storie verso una destinazione ignota (ma facilmente deducibile). Sei storie in bilico tra l’horror, il fantastico e il thriller che traggono forza dalla semplicità delle trame sempre e comunque rappresentate da un colpo di scena finale che tende a ribaltare la prospettiva sugli eventi.

Come spesso accade per le serie antologiche, la qualità è altalenante e si può trovare anche un consistente scarto qualitativo tra l’uno e l’altro episodio, tutti scritti a quattro mani da Kjetil Indregard e Atle Knudsen e diretti, in alternanza, dallo stesso Knudsen e da Geir Henning Hopland (tra i registi di punta della serie Lilyhammer). Anche se, a conti fatti, la qualità generale si assesta sulla mediocrità facendo di questa prima stagione di Bloodride un prodotto non troppo memorabile.

Bloodride

L’IDEA

L’impostazione degli episodi di Bloodride è abbastanza similare nel mostraci una situazione di routine quotidiana scardinata dall’entrata in scena di un elemento soprannaturale o extra-ordinario che porta a un finale a sorpresa, anche se solitamente tragico. Una lettura morale che richiama alla memoria soprattutto la serie Tales from the Crypt che spopolò nella prima metà degli anni ’90, ma senza quello humor che la caratterizzava, legandosi idealmente al modello di The Outer Limits, altra serie antologica di genere fantastico nata sul modello di Ai confini della realtà negli anni ’60 e rifatta negli anni ’90. A tutto ciò, uniamo un chiarissimo richiamo (omaggio?) al film horror a episodi della Amicus Le cinque chiavi del terrore (1965) diretto da Freddie Francis, in cui 5 passeggeri di un treno diretto verso una destinazione ignota erano protagonisti di altrettante storie soprannaturali che avevano preceduto il loro misterioso viaggio.

Bloodride

GLI EPISODI

Sei episodi equamente distribuiti in tre dai connotati soprannaturali e tre dai risvolti più realistici. Dell’antologia a colpire maggiormente in positivo è il primo, Un sacrificio necessario, in cui una famigliola si trasferisce in una casa in campagna dove tutti i vicini hanno una sospetta passione per i propri animali domestici. È il più cattivo e originale della sestina, quello che probabilmente ha spinto a VM18 il rating di Netflix, in cui entrano giustamente in ballo anche elementi del folklore norreno, così da dare una spinta davvero caratteristica al prodotto.

Si prosegue all’insegna del cruento thriller psicologico con Tre fratelli matti, storia di un giovane appena uscito da un istituto psichiatrico per l’omicidio – in tenera età – del padre, che viene trascinato dai due suoi fratelli a trascorrere il weekend nel cottage di famiglia. L’atmosfera morbosa e il gusto per l’eccesso gore aiutano una storia abbastanza prevedibile che comunque si regge bene sui suoi piedi proprio grazie alla durata esigua dell’episodio.

Il terzo episodio, Lo scrittore malvagio, è forse il più pretenzioso e anche il meno riuscito. Una ragazza appena iscritta a un corso di scrittura creativa si rende conto che la sua stessa vita è frutto dell’immaginazione di uno scrittore. Idea pregevole ma inadatta al tempo a disposizione perché tutto è eccessivamente frettoloso e la storia finisce per incartarsi in una struttura a scatole cinesi che smarrisce qualsiasi logica.

Bloodride

Topi da laboratorio è il quarto episodio, uno dei migliori. Un magnate del settore farmaceutico invita a cena i suoi dipendenti per festeggiare un importante traguardo ma quando si rende conto che il prototipo del loro nuovo farmaco è scomparso dalla cassetta di sicurezza, si convince che è stato sottratto da uno degli ospiti e così inizia un gioco paranoico basato sull’umiliazione fisica e psicologica. Ben giocato sulle dinamiche psicologiche che si instaurano in situazioni di forte pressione, questo episodio riesce a gestire bene i tempi risultando perfettamente compiuto. Anche in questo caso è tutto ampiamente prevedibile per uno spettatore più smaliziato, ma nel progetto generale di serie è un “si”.

Quinto episodio all’insegna della banalità più assoluta. La vecchia scuola racconta di una giovane insegnate di Oslo assunta in un paesino rurale dove, molti anni prima, un’intera scolaresca era scomparsa nel nulla. Tra eventi soprannaturali di routine, spiriti a cui dare il riposo e un colpo di scena molto telefonato, abbiamo un episodio esile esile.

Ultimo di questa prima stagione è L’elefante nella stanza, noiosetto thriller in cui una festa in maschera tra i dipendenti di un’azienda fa emergere lo spirito investigativo di due di loro nella ricerca delle ragioni che hanno condotto a una recente tragedia in ufficio. Molto chiacchierato, poco interessante e con un twist che funziona abbastanza bene ma ne risente anche dell’errata calibratura dei tempi narrativi.

Bloodride

CONCLUSIONI

Nell’idea di Netflix, Bloodride sarebbe dovuta essere la risposta nordeuropea a Black Mirror, spostando il focus dalle derive nere della tecnologia alla natura autodistruttiva dell’essere umano. Qua e là si intravede qualche guizzo, belle idee, argomenti ben sviluppati, ma spesso la breve durata di ogni episodio non giova alla riuscita e in diverse occasioni c’è un invadente senso del già visto che non candida questa prima stagione di Bloodride tra i prodotti più memorabili di questa prima metà di 2020.

Roberto Giacomelli

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