Come pecore in mezzo ai lupi, la recensione

La notte odora di polvere da sparo.

Vera è una fixer per una banda di criminali serbi, poliziotta infiltrata procura loro armi, telefoni e macchine in attesa di riuscire ad organizzare un grande arresto. Donna dura, solitaria e ferita dalla vita, ha come unica gioia il lavoro.

Vera ricorda la cupezza e il coraggio di Lisbeth Salander della trilogia Millennium di Stieg Larsson, ne ricalca i gesti e l’acume ma anche la sofferenza. Vive in una casa spoglia e asettica e passa le sue giornate da sola o accompagnando Dragan, Goran e Milorad, i serbi per cui lavora, nei loro traffici giornalieri.

Bruno è un piccolo criminale uscito da San Vittore, che in compagnia di Gaetano passa la giornata effettuando rapine e cercando il modo di guadagnare soldi. Ha una bambina di otto anni, Marta, che vive con la madre tossicodipendente e alcolizzata dalla quale Bruno vorrebbe salvarla, portandola a vivere con sé. Per fare questo però ha bisogno di soldi e con una condanna alle spalle è difficile offrire un futuro dignitoso alla figlia.

Le storie di Vera e Bruno si incontrano quando Gaetano ha una soffiata sul passaggio di un portavalori, che si rivela l’occasione perfetta per fare tanti soldi in fretta. Gaetano intende organizzare il colpo con la banda di serbi nella quale Vera è infiltrata ma la situazione si complica la prima sera che lei e Bruno si incontrano, riconoscendosi. Due fratelli che non si parlano né si vedono da tempo riuniti di nuovo in questa circostanza.

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Come pecore in mezzo ai lupi, film d’esordio per Lyda Patitucci che alle spalle ha una duratura collaborazione con Grøenlandia firmando la regia di seconda unità de Il primo re, Smetto quando voglio e Veloce come il vento, è un crime ben costruito bene che si lascia guardare molto volentieri. La sceneggiatura è semplice e lineare, Vera e Bruno sono due personaggi molto ben scritti sia nel loro rapporto che nella loro individualità. Più macchiettistici e impersonali, invece, i criminali serbi.

Il film si inserisce nell’enorme cornice dei crime italiani, che dopo il successo (al cinema e in tv) di Romanzo Criminale, Suburra e Gomorra hanno riempito le sale facendo ingrassare i botteghini; e qui viene da chiedersi quale sia il motivo che spinge una giovane regista esordiente a firmare la regia per un film che potrebbe rischiare di confondersi in mezzo alla massa dei tanti prodotti simili. Dopo la visione del film la domanda rimane ma bisogna riconoscere a Lyda Patitucci, Grøenlandia e a tutta la squadra dietro Come pecore in mezzo ai lupi la capacità che hanno avuto di discostarsi il più possibile dal mare magnum dei film italiani sulla criminalità, creando un prodotto non solo ben riconoscibile ma anche meno banale e sicuramente più onesto di tanti altri.

come pecore in mezzo ai lupi

Come pecore in mezzo ai lupi, se non fosse per la cadenza dialettale di qualche personaggio, potrebbe benissimo essere un film non italiano e potrebbe risultare facilmente appetibile ad un pubblico fuori dai confini nazionali. Pur essendo ambientato a Roma, la città funge da contorno e quella fastidiosa romanità alla quale siamo abituati fortunatamente qua scompare. È un film che guarda e si ispira a un certo cinema francese, strizzando l’occhio alle atmosfere neo-noir sia da un punto di vista narrativo che estetico. Non si limita a parole in dialetto e pistole in mano, ma tenta di fare qualcosa in più e lo si vede anche dalla costruzione della scena dell’assalto al portavalori, che nella sua piccolezza e semplicità è costruita bene e ha veramente l’assetto e l’aspetto cinematografico.

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Piccola nota di demerito: c’è un po’ di povertà nella messa in scena e non riesce fino in fondo a staccarsi da un look da piattaforma, così non si riesce a sfruttare fino in fondo le potenzialità della visione in sala.

Sarò davvero curiosa di vedere i prossimi lavori della regista!

Come pecore in mezzo ai lupi esce al cinema il 13 luglio, distribuito da Fandango.

Agata Brazzorotto

PRO CONTRO
  • La scena della rapina al portavalori denota la volontà di fare qualcosa di più.
  • Isabella Ragonese e il suo viso così serio e spigoloso funzionano bene per il personaggio di Vera.
  • Un crime che si diversifica nell’infinito calderone dei film italiani sulla malavita.
  • Ennesimo esordio, ennesimo film di criminalità. Ma ne abbiamo ancora bisogno?
  • La messa in scena alcune volte un po’ povera.
  • I cattivi sono bidimensionali.
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