Smetto quando voglio, la recensione

Pietro Zinni (Edoardo Leo) ha trentasette anni, fa il ricercatore presso la cattedra di Biologia all’università e convive con Giulia (Valeria Solarino), che lavora in un centro di recupero per tossicodipendenti. Le cose sembrano andare particolarmente bene per Pietro, che è il favorito per un incarico a posto fisso, ma i tagli all’università cambiano i suoi programmi e così viene licenziato. Non avendo il coraggio di dare la brutta notizia alla fidanzata e ispirato da una notte brava in discoteca, Pietro decide di mettere su una banda criminale composta dai suoi ex colleghi, che, nonostante le competenze, vivono ormai ai margini della società facendo lavori precari e umilianti. L’idea è quella di creare una nuova droga che riesca ad aggirare l’illegalità, una cosiddetta smart drug, e mettere su un massiccio giro di spaccio. Il successo è immediato, il problema sarà gestirlo…

Con lo slogan mutuato da un reale coro di protesta “Meglio ricercati che ricercatori”, che campeggia come tagline sul poster del film, Smetto quando voglio mette subito le mani avanti facendo un’ammissione di intenzioni. I temi affrontati sono feroci e di fervente attualità: il precariato giovanile, i tagli all’università, la crisi. E il giovanissimo regista del film (classe 1981) Sydney Sibilia trova una soluzione con la proverbiale arte di arrangiarsi caratteristica dell’italianità. Ma non crediate che Smetto quando voglio sia uno di quei barbosi film sociali tipici del nostro cinema, che hanno riempito di vesciche gli occhi dello spettatore in più occasioni… toglietevelo della testa, perché il lungometraggio d’esordio di Sydney Sibilia è una commedia genuinamente divertente, che fa propri temi drammatici di un certo impegno sociale per riderci su con intelligenza e cercando spavaldamente la strada dell’intrattenimento disimpegnato.

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Il regista, anche sceneggiatore del film insieme a Valerio Attanasio e Andrea Garello, racconta di aver avuto l’ispirazione per questo film diversi anni fa, quando lesse su un quotidiano un articolo che titolava “Quei netturbini con la laurea da 110 e lode”. Storia di routine straordinariamente quotidiana, nella quale si raccontava di due ragazzi laureati in filosofia che lavoravano per l’AMA, pulendo, di notte, le strade di Roma mentre discutevano della Critica della Ragion Pura. Questo episodio ha fatto accendere la lampadina a Sibilia, diventando la base per Smetto quando voglio, dove la triste realtà di un’Italia ormai refrattaria a ogni tipo di meritocrazia si va a fondere con quelle storie da crime movie tipicamente cinematografiche. C’è un po’ di I soliti ignoti e La banda degli onesti in Smetto quando voglio, idee carpite dal successo televisivo Breaking Bad e perfino una rielaborazione in chiave parodistica del Romanzo Criminale della tv. Ma la miscela che ne viene fuori è incredibilmente fresca e ammantata da quell’alone di originalità che sempre più spesso latita quando si parla di cinema italiano e di commedia all’italiana in particolare.

Smetto quando voglio fa ridere di pancia in più occasioni, con apici di comicità come nella scena della rapina, quella del pennarello indelebile o le interazioni tra il protagonista e il professore interpretato da Sergio Solli, ma il dato positivo è che, al di là dei singoli momenti da risata, il film ha un costante leit motiv comico che rende la visione un’esperienza realmente simpatica. Si ride, ci si diverte e si riflette, comunque, su una situazione così paradossale che sembra costruita ad arte per essere fiction ma è drammaticamente verosimile, andando così a girare il coltello in una piaga che è la caratteristica anomalia all’italiana.

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La bella sceneggiatura, che si fa forte di dialoghi brillanti e personaggi ben caratterizzati, è affiancata da un felice lavoro di casting che non ci propone le solite facce ormai inflazionate del nostro cinema, ma da spazio ad attori bravi e in parte. Edoardo Leo e Valeria Solarino sono affiancati da Libero De Rienzo, Stefano Fresi, Pietro Sermonti, Paolo Calabresi, Valerio Aprea e Lorenzo Lavia: tutti i componenti di una banda tanto scalcagnata quanto efficace. Molto buono anche il lavoro sulle musiche, composte anche da celebri pezzi internazionali e perfettamente contestualizzati – come Why don’t you get a job? degli Offspring – che stanno a sottolineare la volontà di rivolgersi a un target differente da quello che solitamente riempie i cinema per vedere l’ultimo film italiano. Fotografia a metà tra l’acido e lo psichedelico, di grande impatto inziale ma, alle lunghe, capace di stancare.

Produce il regista Matteo Rovere (Un gioco da ragazze, Gli sfiorati) in collaborazione con Fandango e Rai Cinema.

Una delle cose migliori realizzate in Italia negli ultimi tempi.

Da non perdere!

Roberto Giacomelli

PRO CONTRO
  • Una commedia fresca, divertente e soprattutto diversa dal solito.
  • Una bella sceneggiatura.
  • Ottimi attori e finalmente non le solite facce.
  • Si ride molto e in modo intelligente.
  • La fotografia satura alla lunga può stancare.
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Valutazione: 8.0/10 (su un totale di 1 voto)
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Valutazione: +1 (da 1 voto)
Smetto quando voglio, la recensione, 8.0 out of 10 based on 1 rating

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