Cry Macho – Ritorno a casa, la recensione
A novantuno anni di età e più di sessanta di onorata carriera, Clint Eastwood non perde, per fortuna, la voglia di lavorare sia dietro sia davanti alla macchina da presa. Dopo il lungo rinvio a causa della pandemia, esce ora anche in Italia il suo ultimo film: Cry Macho – Ritorno a casa (tratto dall’omonimo libro di N. Richard Nash) presentato in anteprima al 39° Torino Film Festival per poi essere distribuito nelle sale a partire da giovedì 2 dicembre, cioè ben oltre due mesi dopo l’uscita americana.
Anche se questa volta Eastwood non ha toccato i suoi livelli più eccelsi, ha comunque confezionato un’opera sufficientemente apprezzabile. La colpa di questo mancato “colpo di fulmine” è da attribuirsi solamente alla storia raccontata che è prevedibile e, a tratti, piuttosto banale.
Il protagonista è Michael – Mike – Milo (Eastwood) ovvero una ex star del rodeo che ora si gode la vecchiaia allevando cavalli nel suo ranch texano. Un evento non previsto gli procura l’occasione di ricompensare vecchi favori: il suo ex manager lo incarica di andare a Città del Messico per “recuperare” suo figlio tredicenne strappandolo dalle cure, non troppo affettuose, della madre alcolizzata. Questa missione si rivelerà più illuminante del previsto.
Il regista e interprete Clint Eastwood pare desideroso di tirare le somme di una proficua e nutritissima filmografia e, ultimamente, sembra voler recuperare numerosi elementi che hanno caratterizzato il suo curriculum artistico. Già con The mule – Il corriere, nel 2019, aveva riutilizzato i costumi di scena di molti suoi vecchi successi e non certo per risparmiare (non ne aveva bisogno) ma per una mera scelta tecnica. Nel caso di Cry Macho, poi, è andato molto più in profondità ed ha toccato mille temi e riflessioni già raccontati negli anni passati in numerose pellicole.
Se vogliamo partire dai tempi più recenti non si può non notare uno pseudo-parallelismo con il già citato The Mule, grazie all’immagine di un vecchio che, da solo, viaggia col suo pickup e si ritrova alle prese con i messicani. Le due vicende, naturalmente, prendono pieghe ben differenti tra loro. Il rapporto tra Mike e il ragazzo – mezzo gringo e mezzo messicano – si trasforma e muta con il tempo, attraversando un percorso già assaggiato in Gran Torino del 2008 in cui i due protagonisti affrontano una relazione interpersonale dapprima contrastata e poi tutta in evoluzione.
Il viaggio di uno sconosciuto che “strappa” un ragazzo dalla sua famiglia per poi scoprire che tutto questo non è poi così dannoso ricorda anche il nesso tra Butch e Philip in Un mondo perfetto del 1993. Insieme al giovane Rafo si aggregherà anche un animale il cui ruolo non è certamente secondario: il gallo da combattimento chiamato Macho. Mike è un cowboy abituato da sempre a rapportarsi e convivere con gli animali da fattoria e non farà fatica ad allacciare uno stretto rapporto col pennuto.
Non è nemmeno la prima volta che Eastwood recita al fianco di un animale: forse qualcuno ricorderà la commedia Filo da torcere del 1978 in cui il co-protagonista era un Orango. E se guardiamo strettamente al protagonista, specie al suo interagire con i cavalli, vengono immediatamente richiamati numerosi film in cui Eastwood cavalca, addomestica, alleva e cura gli adorati equini.
Ciò che più stupisce, ma il romanzo d’origine lo impone, è anche un ovvio accenno a I ponti di Madison County del 1995.
Con tutti questi infiniti richiami, riferimenti, ricordi e similitudini finisce che Cry Macho somigli più ad un ragguardevole mash-up piuttosto che ad un film peculiare e originale. Ad un regista che ha fatto del Cinema, con la C maiuscola, la sua ragione di vita chiederemmo sempre di più ed ogni volta esigeremmo di alzare l’asticella per godere del suo estro e talento ai massimi livelli. Anche un film godibile come Cry Macho rischia, quindi, di non entusiasmare ma solo per il motivo già espresso.
Per evitare fraintendimenti, specifichiamo che l’attitudine cinematografica standard di Eastwood – lineare e scevra da elementi barocchi – conferisce un fascino piacevole anche ad un racconto che non eccelle in sorprese. Un plauso va riservato al giovane co-protagonista ovvero il talentuoso Eduardo Minett.
Marcello Regnani
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