Edhel, la recensione

Edhel ha dodici anni e una malformazione al padiglione auricolare che le fa apparire le orecchie a punta. Questo difetto fisico le causa vergogna e motivo di sfottò a scuola, inoltre la perdita del padre in un incidente mina ancora di più il suo precario stato d’animo. Un giorno, però, Edhel conosce Silvano, un ragazzo appassionato di fumetti e giochi di ruolo che lavora come bidello nella sua scuola e la convince che le sue orecchie a punta sono un chiaro segnale della sua natura elfica.

Questo è il bellissimo spunto che sta alla base di Edhel, esordio alla regia di un lungometraggio di Marco Renda, regista poco più che trentenne riuscito a piazzarsi al secondo posto all’edizione 2017 del Giffoni Film Festival. Un’ottima idea, come si diceva, che si inserisce in maniera tangente nel panorama dell’attuale cinema italiano da sempre poco attento al genere fantasy, che qui viene trattato sottilmente unendolo sottotraccia a una storia di emarginazione e crescita. Il mondo che ruota attorno alla dodicenne interpretata dall’esordiente Gaia Forte è crudele e ben lontano dai toni rosei della fiaba: l’ambiente scolastico è giustamente spietato e mai vicino alla redenzione come spesso ci viene mostrato al cinema, tra compagni di classe carogne e insegnanti incapaci di affrontare con sensibilità casi di diversità. Neanche a casa la situazione migliora perché se l’assenza di un padre, scomparso in tragiche circostanze, è un peso troppo grande per una bambina, l’educazione della madre – comunque molto presente nella vita di Edhel – sembra girare a vuoto e puntare il dito verso le uniche cose che fanno stare bene la figlia, come il cavallo con cui si allena per le gare di equitazione.

Per cercare una fuga (dalla realtà) a un “diverso” come Edhel serve un altro diverso, che in questo caso assume i connotati di Silvano, ragazzo appassionato di fumetti, fantasy, GDR che sembra però non avere tutte le rotelle a posto. In questa scelta risiede uno dei molti problemi di questo esordio registico: la figura di Silvano, interpretato in maniera davvero poco convincente da Niccolò Ernesto Alaimo, non è credibile e per lo più mal scritta. Silvano è l’immagine stereotipata del nerd, una macchietta grottesca ai limiti del ritardo mentale, vessato dai coetanei che lo bullizzano e incapace di difendersi (tremenda sotto tutti i punti di vista la scena in cui il ragazzo viene picchiato fuori dalla fumetteria Forbidden Planet). L’apporto del personaggio di Silvano alla storia, inoltre, è un po’ ambiguo: chiara la sua funzione di sblocco per Edhel, il motore che la porta alla svolta, ma il suo comportamento irrealmente infantile, l’immotivata detenzione della “verità” appaiono come maldestre euristiche di scrittura invece che sottili passaggi di sceneggiatura. Una sceneggiatura che comunque convince poco nel suo complesso, tra inutili ridondanze, passaggi poco chiari e una deriva favolistica che speravamo fosse tenuta fuori, invece…

Edhel è “sabotato” da qualche errore puramente tecnico di regia (raccordi sbagliati) e una recitazione a tratti dilettantesca, anche se Roberta Mattei (che abbiamo visto in Veloce come il vento e Omicidio all’italiana) nei panni della madre di Edhel è molto brava e perfino molto somigliante con l’attrice che interpreta la figlia.

Dunque Edhel è un po’ un’occasione mancata, una grande idea imprigionata in un film acerbo sotto tanti punti di vista.

Edhel è una parola Sindarin, una delle diverse lingue elfiche create da J.R.R. Tolkien per Il signore degli anelli e, tradotta, significa “Elfo”.

Roberto Giacomelli

PRO CONTRO
  • Una bella idea, anche piuttosto originale.
  • Roberta Mattei è brava.
  • Sceneggiatura fragilissima.
  • Attori poco convincenti.
  • Regia molto acerba.
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Valutazione: 5.0/10 (su un totale di 1 voto)
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