FEFF22. Detention, la recensione

1962, Taiwan. Gli studenti Ray-shin e Zhong-ting si svegliano nel cuore della notte nel loro liceo. Non ricordano perché sono lì e attorno a loro c’è un’aria sinistra, come se fossero all’interno di un incubo. Mentre cercano un modo per tornare a casa, si rendono conto che il ponte che collega il parco della scuola con il centro abitato è crollato e, come se non bastasse, non c’è elettricità. La situazione si complica quando i due ragazzi scoprono che l’area è popolata da strane creature ben poco amichevoli.

Tra il 1947 e il 1987 Taiwan è stata soggetta alla legge marziale istituita dal Kuomintang, ovvero il Partito Nazionalista Cinese, un quarantennio conosciuto alle cronache con l’appellativo di periodo del Terrore Bianco, durante il quale la dittatura militare puniva con l’impiccagione i dissidenti politici, dunque coloro che erano tacciati di simpatizzare per il comunismo. Un periodo che ha visto migliaia di vittime, durante il quale non esisteva la libertà individuale e perfino essere scoperti a leggere un libro considerato “proibito” avrebbe condotto alla condanna a morte. Una triste parentesi nella Storia taiwanese che ha fornito l’ispirazione alla casa di sviluppo Red Candle Games per dar vita al videogame survival-horror Detention (2017), che a sua volta è stato trasposto su grande schermo nel 2019 da John Hsu per l’omonimo film.

Presentato in anteprima italiana al 22° Far East Film Festival, Detention è un film che viaggia su un doppio binario che vuole unire la Storia con l’orrore e per far questo mescola il melò romantico/familiare di impostazione storica con il fanta-horror più moderno. Il risultato non è nobile come le intenzioni e il film a tratti zoppica, ma si tratta di un’opera molto ambiziosa e non priva di fascino.

A parte il prologo, utile a contestualizzare temporalmente la storia mostrando l’assurda situazione di oppressione in cui il popolo taiwanese si trovava, il film prende l’innesco dal genere horror mostrando con molta evidenza la sua matrice videoludica. Ci troviamo, infatti, nei panni dell’adolescente Ray-shi, confusa, priva di memoria e gettata in una situazione surreale dalla quale deve trovare un’uscita.

Munita di una candela, la ragazza deve barcamenarsi nei corridoi della scuola aprendo porte, trovando passaggi e indizi, evitando le inquietanti creature che si aggirano nell’edificio. La sua vicenda, che ben presto si unisce a quella di Zhing-ting, si fa più chiara a mano a mano che il film procede, con l’avanzare dei capitoli in cui è suddiviso, e attraverso i flashback che ci raccontano qualcosa dei protagonisti e come sono finiti in quella situazione.

Dopo il climax che mette i due ragazzi faccia a faccia con il mostruoso wangliang, sicuramente il momento più suggestivo dell’intero film, Detention rallenta clamorosamente mostrando il suo vero volto: non un horror soprannaturale, ma un dramma sul rimorso di coscienza. Lo spettatore si sente un po’ disorientato, tradito perfino, e gli intrecci da melò tipicamente orientale un poco stridono sia con il contesto orrorifico sia con quello storico.

Un po’ dispiace che John Hsu non abbia voluto giocarsi con più determinazione la carta del cinema horror perché il primo atto del film è davvero riuscito ed è capace perfino a far paura, mentre il resto si perde un po’ nell’anonimato, pur mostrando una particolare sensibilità nello sviluppo psicologico dei personaggi.

La veste generale di Detention è comunque incredibilmente affascinante e non viene trascurata neanche l’atmosfera rarefatta e sognante del videogame, che non era affatto semplice da trasporre con fedeltà.

Roberto Giacomelli

PRO CONTRO
  • La prima parte horror è dannatamente efficace.
  • C’è un bel look generale.
  • Lo sviluppo psicologico dei personaggi è molto curato.
  • Quando il film mostra il suo vero volto un po’ ci si rimane male perché come horror stava funzionando alla grande!
  • Il ritmo cala progressivamente e vertiginosamente!
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