FEFF22. Sunod, la recensione

La quarantenne Olivia, per pagare le spese mediche a sua figlia Annelle che è affetta da una grave patologia cardiaca, risponde a una richiesta di lavoro in un call center presso la società di Manila Liboro Global Outsourcing, che è situata all’ultimo piano di un ex ospedale oggi in ristrutturazione conosciuto in tutta la città come Liboro House. Dopo l’iniziale difficoltà, Olivia comincia a farsi ben volere dai suoi colleghi e superiori, anche grazie al suo talento, finché, una sera, risponde a una telefonata in cui la voce di una bambina le chiede aiuto. Pensando che si trattasse di un’interferenza, Olivia non presta attenzione all’accaduto ma quella stessa notte incontra una bambina che dice di chiamarsi Nerisa e le chiede di aiutarla ad uscire dall’edificio e ritrovare la sua mamma. Olivia la conduce fuori da Liboro House ma, nell’attesa di un taxi, Nerisa scompare. Il giorno successivo Annelle sembra essere guarita e viene quindi dimessa dall’ospedale, ma Olivia comincia a sospettare che quella che è tornata a casa non sia in realtà sua figlia.

Presentato in anteprima mondiale al 22° Far East Film Festival, Sunod è un horror filippino dal forte sapore internazionale che porta la firma di Carlo Ledesma, apprezzato regista di Manila che si è fatto conoscere nel mondo del cinema di genere nel 2011 grazie all’horror di produzione australiana The Tunnel.

Prendendo ispirazione da una leggenda creepypasta che racconta di una richiesta d’emergenza telefonica che innesca una maledizione, lo sceneggiatore Anton Santamaria riesce a costruire una storia ben articolata che si scolla di dosso l’ormai pesante tradizione degli horror orientali legati a un apparecchio tecnologico che hanno proliferato all’indomani del successo di Ringu (1998). Il soggetto di Sunod, infatti, si prestava particolarmente a perseguire la struttura consolidata dei classici tecno-horror, ma svincola abilmente da quel filone concentrandosi sull’istinto materno della protagonista e costruendo la minaccia in maniera inedita.

Di fatto, Sunod si gioca la carta della maledizione legandola al tema del doppelgänger e creando così un’atmosfera basata sul sospetto e sulla paranoia della protagonista che, molto velocemente, si convince di aver innescato una reazione a catena dagli esiti alquanto inquietanti.

In verità, il tema del doppio si esaurisce abbastanza presto e Ledesma concentra in Sunod diversi argomenti propri dell’horror soprannaturale toccando la possessione demoniaca, la stregoneria e rituali di trasmigrazione dell’anima, senza tralasciare di ambientare un importante frangente del film in un fatiscente ospedale abbandonato teatro, in passato, di drammatici eventi.

Sunod è dunque uno zibaldone dell’horror che riunisce talmente tanti temi e tematiche da cogliere nel segno almeno una volta. Ma la cosa più interessante nell’opera di Ledesma è l’importanza data al femmineo, esplorato nell’arco del film attraverso diverse sfaccettature di madre/figlia/strega/donna in carriera. Una partizione incarnata da più personaggi ma visibile anche all’interno di ciascuno di loro, singolarmente, che gioca soprattutto col simbolismo del grembo materno come alfa e omega di ogni cosa.

È incisivo notare un tale approfondimento in un film appartenente a un genere molto commerciale e prodotto in un Paese di stampo comunque patriarcale, ne indica indubbiamente una cura nella scrittura superiore alla media degli horror filippini. Inoltre, risulta molto brava Carmina Villarroel nel ruolo della protagonista, un personaggio tormentato che deve esprimere la difficoltà di portare sulle proprie spalle la malattia, il lavoro e l’eccezionalità di una situazione fuori dall’ordinario.

Quello che convince meno in Sunod è la gestione dei tempi narrativi: la storia parte molto lentamente pur scoprendo le carte in fretta e non riesce a riservare sorprese fino al finale che, di conseguenza, appare eccessivamente carico di eventi e con un ritmo squilibrato in confronto al resto.

Nel suo complesso, comunque, Sunod sa difendersi molto bene nel fondere alcuni elementi tipici del folklore con altri sdoganati dalla cultura orrorifica cinematografica. Ne viene fuori un curioso mix che ha il sapore del cinema più commerciale ma anche tocchi d’autore che sanno elevarlo dalla massa.

Roberto Giacomelli

PRO CONTRO
  • Un buon approfondimento dei personaggi femminili.
  • Riesce a cambiare filone (horror) più volte.
  • Molto brava l’attrice protagonista.
  • Il ritmo è eccessivamente schizofrenico.
  • I luoghi comuni dell’horror soprannaturale ci sono davvero tutti!
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