Hunger Games, la recensione del primo film

In un futuro imprecisato la Terra è stata sconvolta da guerre che ne hanno ridefinito la geografia. Il Nord America è ora costituito da una grande nazione chiamata Panem, a sua volta divisa in 12 distretti, ognuno dei quali è specializzato nella produzione di una materia prima. Ogni anno si svolgono a Panem gli Hunger Games, giochi in diretta televisiva in cui un ragazzo e una ragazza per ogni distretto vengono sorteggiati per scontrarsi in una lotta all’ultimo sangue. Questo spettacolo viene imbandito per ricordare ai distretti chi ha la supremazia, in seguito a una rivolta che 74 anni prima era stata mossa dai distretti per guadagnare la libertà e che si era conclusa a favore di Panem. In occasione della 74°edizione degli Hunger Games viene sorteggiata la gracile Primrose Everdeen, allora sua sorella maggiore Katniss si propone volontaria e si sostituisce a lei. La ragazza, insieme all’altro sorteggiato Peeta, vengono condotti negli stabilimenti del network per il periodo di training e si preparano a uno scontro all’ultimo sangue con gli altri 22 concorrenti.

Con Harry Potter e Twilight ormai conclusi, l’industria cinematografica americana è alla disperata ricerca di qualche prodotto letterario pseudo-fanatsy da trasformare in una nuova gallina cinematografica dalle uova d’oro, dal momento che i vari Percy Jackson e Le Cronache di Narnia stentano a decollare. La Lionsgate, famosa per i più celebri horror al sangue degli ultimi anni, tenta di fare il colpaccio con i romanzi di Suzanne Collins, che a livello editoriale hanno spopolato raggiungendo vette come 26 milioni di copie a romanzo vendute. E così si comincia dall’inizio, Hunger Games, pubblicato nel 2008 e ora divenuto film per la regia di Gary Ross. A quanto pare la Lionsgate ci ha visto lungo e Hunger Games cinematografico è diventato in pochi giorni un vero e proprio fenomeno, riuscendo a incassare una cosa come più di 150 milioni di dollari nel weekend d’apertura solo in America.

Ma cos’è Hunger Games e da cosa deriva tutto questo successo?

Hunger Games è un esempio abbastanza atipico di teen drama contaminato però con elementi fantascientifici e politico-sociali che difficilmente sono compresi in prodotti simili. Il target primario, che visti i protagonisti della storia è adolescenziale, viene così furbamente allargato a un più ampio corollario di pubblico che comprenda anche gli adulti interessati a dinamiche diverse da innamoramenti e conflitti generazionali. Hunger Games è dunque un patchwork di generi (letterari e di conseguenza cinematografici) uniti con un’insolita perizia ed efficacia che riesce così a trattare una storia fantascientifica dai forti connotati di critica sociale con le dinamiche del cinema d’avventura e d’azione, utilizzando però personaggi da teen movie. Un bel minestrone di cose, generi ed eventi che però funziona.

Jennifer Lawrence è Katniss Everdeen

Jennifer Lawrence è Katniss Everdeen

La Collins, che oltre ad essere autrice dei romanzi è anche co-sceneggiatrice insieme a Gary Ross e Billy Ray, cita, ruba e rielabora da innumerevoli prodotti dell’immaginario storico letterario e cinematografico, riuscendo però a trovare un compromesso che faccia di Hunger Games un’opera dalla propria personalità. C’è molto del 1984 orwelliano con ancora più evidenti echi da suggestioni naziste (da notare il simbolo iconografico di Panem), c’è anche un po’ di La pericolosa partita, c’è tantissimo di Battle Royale e poi tutta una serie di collegamenti – voluti o casuali – con il cinema da reality show estremo che da Anno 2000: La corsa della morte a soprattutto L’implacabile ha gettato le basi per i recenti Contenders: Serie 7, Death Race, Gamer, My Little Eye e Death Games, con quel pizzico di The Truman Show che non guasta mai.

L’abilità di Hunger Games sta proprio nel prendere un po’ qua e un po’ là riuscendo però ad approfondire aspetti inediti. Dunque risulta estremamente interessante il discorso avanzato sul regime totalitario incentrato sulla paura e le dinamiche che caratterizzano la preparazione del reality show. La dittatura di Panem che pesa sui 12 distretti è di quelle lucidamente spietate e tattiche, capaci di reprimere il senso di rivolta democratica del popolo puntando sulle loro paure. I vertici di Panem, infatti, ricordano ogni anno agli abitanti dei distretti che ribellarsi genera disgrazia e questo attraverso i tributi – leggasi sacrifici umani – che sono costretti a pagare per le colpe dei propri padri in un meccanismo di scelta casuale che prende il sinistro nome di “mietitura”. Per di più questi tributi sono i figli, il futuro stroncato da un meccanismo di terrore mascherato da intrattenimento collettivo. E non è sbagliato pensare anche alla mitologia greca a tal proposito, al mito di Teseo e del Minotauro, in cui periodicamente giovani greci venivano mandati a morire nel labirinto del Minotauro per soddisfare la sete di sangue del tiranno Minosse.

La costruzione di Hunger Games tende a spezzare il racconto in due tranche: la preparazione ai giochi e i giochi stessi. La seconda parte è proprio quello che potete aspettarvi, con azione e combattimenti corpo a corpo in cui viene esaltata la tattica dei concorrenti; invece la novità sta soprattutto nella prima parte, il training dei 24 ragazzi unito all’hype mediatico puntualmente preparato dal network che trasmette gli Hunger Games. Il film riesce efficacemente a descrivere quei meccanismi tipici da Grande Fratello in cui gli “autori” costruiscono i personaggi/concorrenti per renderli appetibili al pubblico, creano storie, guidano l’apprezzamento degli spettatori e inseriscono variabili esterne che condizionano il comportamento dei partecipanti ai giochi. In pratica Hunger Games ci suggerisce che nulla di spontaneo c’è nel reality (e questa non è una novità!) e anche se la determinazione di qualche concorrente riesce a scardinare alcuni ingranaggi del “Sistema” (politico ma anche televisivo), è comunque il Sistema a tirare i fili sempre e comunque. Una visione distopica e pessimista che nel film di Ross si mescola a sprazzi di ottimismo, dati all’audacia della protagonista Katniss, amazzone pura e combattiva che nelle intenzioni degli autori deve rappresentare quell’anomalia in grado – forse – di scardinare un Sistema votato all’apparire (si vedano i “ridicoli” look dei personaggi più “in”) e al tacito comando.

Katniss e Peeta faccia a faccia

Katniss e Peeta faccia a faccia

Hunger Games non è comunque opera riuscita in toto. Molte delle intuizioni tematiche rimangono più concettuali che pratiche e si nota uno squilibrio ritmico tra prima e seconda parte, poco accomodante per il target a cui si punta. Malgrado il concept del reality game all’ultimo sangue, Hunger Games rimane un prodotto edulcorato per le grandi masse e ripulito, dunque, da eccessi di violenza che avvengono per lo più fuori campo o celati da una direzione delle scene d’azione più cruente votata alla confusione, scelta decisamente pessima anche a carattere estetico.

La regia di Gary Ross – che conosciamo principalmente per Pleasantville e Seabiscuit) è di maniera e piuttosto anonima e la differenza la fanno soprattutto gli interpreti che, ad eccezione dell’inespressivo Josh Hutcherson che interpreta Peeta, funzionano bene. Molto del merito va dato a Jennifer Lawrence, bella e brava protagonista che si sta spianando intelligentemente la strada tra blockbuster (X-Men: L’inizio), film indipendenti (Un gelido inverno) e performance da Oscar (Il lato positivo), qui spalleggiata da Woody Harrelson, Elizabeth Banks, Stanley Tucci, Wes Bentley e Donald Sutherland.

Hunger Games è un buon compromesso tra l’opera commerciale e il film di critica sociale, non perfetto nella costruzione e privo di reale originalità ma capace di offrire una visione abbastanza intelligente sulla classica tematica distopica fantascientifica unita al racconto d’avventura adolescenziale.

Seguirà Hunger Games – La ragazza di fuoco.

Roberto Giacomelli

 

PRO CONTRO
  • Intelligente e riuscita variante sul tema della società distopica.
  • Cast di attori affiatato con una Jennifer Lawrence perfettamente in parte.
  • Avvicina il pubblico più giovane a tematiche adulte.
  • Risulta accattivante anche per il pubblico più maturo.
  • Manca di originalità.
  • Josh Hutcherson appare disorientato.
  • Regia anonima e impacciata nelle scene d’azione.
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