I migliori anni della nostra vita, la recensione

Se la nostalgia protratta avesse un odore, sarebbe quello dei fiori rimasti in casa troppo a lungo: non spiacevole, ma un po’ opprimente se lo si inspira a piene boccate. E se la nostalgia protratta avesse un corrispettivo cinematografico, sarebbe il film I migliori anni della nostra vita, seguito ideale di Un uomo, una donna del 1966.

Ideale perché in realtà tra i due film sussiste l’interludio (poco riuscito) Un uomo, una donna oggi, che però il regista Claude Lelouch ha quasi del tutto convenientemente dimenticato nel dar vita al terzo capitolo, immaginando qui che i protagonisti Jean-Louis Trintignant e Anouk Aimée si rincontrino solo cinquanta anni dopo l’ultima volta, anziché venti. Cos’è cambiato rispetto al 1966? Diverse cose. Jean-Louis corre ormai in sedia a rotelle, non più sulle auto da corsa, e ha la memoria decisamente offuscata. Però ricorda ancora benissimo la sua Anne, il grande amore che perse a causa delle proprie tendenze adulterine. Perciò il figlio di Jean-Louis decide di rintracciarla, convinto che rivederla farà un gran bene al padre; tuttavia l’incontro gioverà anche ad Anne, riportandola indietro a un periodo che, nonostante tutto, è stato tra i migliori anni della sua vita.

Cosa non è cambiato rispetto al 1966? Diverse cose. A partire dall’intercorrere, in diversi momenti di I migliori anni della nostra vita, del celebre motivetto “cha-ba-da-ba-da”. Lo aspettavamo; lo bramavamo, persino. Ma Lelouch alza il tiro dell’operazione nostalgia inserendo più volte intere scene da Un uomo, una donna, scelta autoreferenziale e indisponente che spezza la narrazione principale, già non al massimo della forma. Nei dialoghi tra gli odierni Jean-Louis e Anne, infatti, si registrano picchi e cadute libere: le battute buffe e tenere che i due si rivolgono sono intervallate da diversi luoghi comuni, per di più resi con un lungo, basico gioco di campi-controcampi dove regnano solo i volti dei protagonisti – la cui alchimia è comunque alle stelle. Del resto, anche il primo capitolo della loro storia d’amore allinea momenti cult a scene dal melò troppo amplificato; la sua debolezza, ma anche la sua forza, è che già al momento dell’uscita al cinema si trattava di un film di cui avere nostalgia, complici la fotografia color seppia, l’amore quasi impossibile, la spiaggia malinconica (anche se al tempo stesso Lelouch realizzò una regia avanguardistica per l’epoca).

Che ci piaccia o meno, Lelouch ha dunque fissato su pellicola un topos della nostalgia, e riesce in parte a farlo anche ne I migliori anni della nostra vita, il cui focus narrativo dopotutto è incentrato sulla memoria, sul passato. Solo che la nostalgia è come una coperta: è bello avvolgercisi dentro, a patto che non soffochi.

Giulia Sinceri

PRO CONTRO
La sintonia tra i protagonisti regala alcuni momenti molto teneri. L’operazione nostalgia è un po’ troppo accentuata.
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Valutazione: 7.0/10 (su un totale di 1 voto)
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I migliori anni della nostra vita, la recensione, 7.0 out of 10 based on 1 rating

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