Il mondo di mezzo, la recensione

Il regista Massimo Scaglione, seppur volenteroso e armato di nobili intenzioni, porta in sala il flop annunciato Il Mondo di Mezzo, di cui firma anche scrittura, scenografia e produzione. La pellicola, ispirata alle infelici e intricate vicende di Mafia Capitale, vorrebbe essere un graffiante film di denuncia; tracciare un arguto e attuale ritratto di una Capitale velatamente in balia della malavita; far riflettere sui disastrosi risultati della corrotta comunella tra politici e alfieri del mattone. Purtroppo, tutto ciò che lascia nello spettatore è grottesca delusione e un vago senso d’imbarazzo.

Siamo negli anni Settanta e lo scaltro imprenditore senza scrupoli Gaetano Mariotti (Tony Sperandeo) giunge a Roma con la bella e frivola moglie (Nathaly Caldonazzo) e il figlio Tommaso. Mariotti è disposto a tutto pur di accrescere il proprio impero di costruzioni e non esita a giocare sporco per perseguire i propri scopi. Dopo la sua morte, Tommaso (Matteo Branciamore), ingenuo e incosciente, diventerà suo malgrado erede del genitore e dei suoi avidi e pericolosi giochi di potere. Accanto a lui, la prorompente e scollacciata Gaia (Laura Lena Forgia) e il Capo di Gabinetto del Sindaco Lucio Oldani (Massimo Bonetti). Non sarà che l’inizio di un’inesorabile e sciagurata parabola discendente, alla deriva della moralità e votata a un’insaziabile cupidigia.

Al regista si deve riconoscere di aver costellato di lucidi spunti il racconto romanzato delle vicende di speculazione e disonestà che hanno riempito le pagine più bollenti dei quotidiani degli ultimi anni. Non dispiacciono nemmeno le interpretazioni di Sperandeo e Branciamore, dignitosamente in parte e raramente sopra le righe. Tuttavia, per contro, la pellicola ha dei grossi limiti, che ne fanno un ibrido di scarsa qualità tra superficiale docu-fiction e fiacco gangster movie con pruriginose incursioni nel soft porn. È frustrante, a dire il vero, veder sfilare scene drammatiche nelle intenzioni eppure involontariamente buffe, tette talmente piene di silicone da bucare lo schermo e ritratti umani bidimensionali rinchiusi in sterili stereotipi.

Salva in parte la situazione una Roma immortalata nella sua meravigliosa e vuota decadenza; nella sua inafferabile e innata confusione, sottolineata da eloquenti movimenti di macchina e affollate sequenze. L’errore principale risiede probabilmente nell’aver voluto realizzare un film ‘ispirato a fatti realmente accaduti’ e non aver invece puntato senza remore l’obiettivo su questi. Gaetano e Tommaso Mariotti rappresentano infatti la summa di più figure protagoniste dello scandalo, così come le loro improbe peripezie. Appurate le buone capacità narrative di Scaglione, il suo proposito di fare cinema d’indignazione e raccontare l’avvilente tendenza di fine secolo a vedere nell’uomo non una risorsa ma nulla più che un mezzo, sarebbe stato raggiunto con efficacia optando per il linguaggio più schietto e funzionale del documentario, ad esempio.

Le immagini di repertorio, infatti, ci sono… così come input precisi e potenzialmente d’impatto. Perché allora ricostruire un microcosmo piramidale – più simile a un girone infernale – attraverso una storiella debole, kitsch e banale invece di raccontare con vigorosa precisione il proprio punto di vista sulla Storia, così com’è andata? Quando si sceglie di toccare argomenti drammaticamente urgenti per la nostra realtà, sarebbe forse più saggio tentare di gettare luce su aspetti poco chiari, anche al fine di coinvolgere e informare i giovani. Così come mirare a una diffusione televisiva e non a una distribuzione cinematografica.

Un’operazione di questo tipo avrebbe messo maggiormente in risalto l’abilità di Scaglione e appagato la sua ammirevole velleità di colpire un Sistema che ha basato se stesso proprio sull’omertà e sull’ambiguità. Invece, uscendo dalla sala, a restare impresso (ma di certo non a lungo) è un’impressione di sgradevole vacuità, oltre alla familiare sensazione di aver assistito all’ennesimo esempio di brutto cinema italiano.

Chiara Carnà

PRO CONTRO
  • Potenzialità narrative e un pregevole tentativo di denuncia.
  • Una storia priva di appeal, popolata di stereotipi e che rimane incastrata om un deludente ibrido.
  • È un prodotto inadatto a una distribuzione cinematografica.
  • È una clamorosa occasione persa per parlare al grande pubblico dell’attualità più scottante degli ultimi anni.
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Il mondo di mezzo, la recensione, 4.0 out of 10 based on 1 rating

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