Killer Machine, la recensione

Karl Hockman è un giovanotto introverso che lavora in un negozio di computer, ma allo stesso tempo è il famigerato killer delle agende telefoniche; Karl, infatti, si impossessa delle agende dei suoi clienti e poi comincia a uccidere uno ad uno i contatti ivi riportati. Una sera, dopo essere venuto in possesso dell’agenda di Terry Munroe, Karl ha un incidente e viene trasportato in gravi condizioni in ospedale, dove muore. Ma in realtà l’anima del killer riesce a penetrare nel sistema informatico dell’edificio e da lì può spostarsi attraverso i cavi elettrici che attraversano tutta la città. Ora Karl vuole completare la sua opera e comincia a uccidere i contatti di Terry utilizzando ogni sorta di apparecchio elettrico. 

Quante volte abbiamo visto in un film un assassino che una volta morto continua a vivere sotto forma di una qualsiasi energia? Sicuramente non sono poche, ma la pellicola da cui Killer Machine (The Ghost in the Machine, in originale) prende pesantemente spunto è senza dubbio Sotto Shock di Wes Craven, in cui un serial killer continuava a vivere sotto forma di energia elettrica e a trasmettersi di corpo in corpo. La cosa curiosa è che Rachel Talalay, la regista di questo film, ha un enorme dazio da pagare nei confronti di Craven, visto che deve legare gli esordi della sua professione alla saga di Nightmare nella quale è stata assistente al direttore di produzione nel primo film e poi è stata coinvolta in diverse vesti in tutti i capitoli successivi, fino a scriverne e dirigerne il sesto. Fortunatamente, pur presentando elementi abbastanza consistenti in comune con Sotto Shock, Killer Machine riesce ad avere una propria personalità che permette di inquadrare il film sotto un’ottica autonoma e a tratti anche originale.

Ghost in the machine

Il film si incentra essenzialmente sulle vittime, sugli umani, e il serial killer è semplicemente un’entità astratta che si manifesta attraverso qualunque sorta di apparecchio alimentato con energia elettrica. Se escludiamo le prime scene in cui il killer è ancora un uomo, è solo nel finale che Karl si materializza sotto forma di particelle magnetiche ma con il suo aspetto originario; ed è proprio il climax finale che appare particolarmente stonato, banale e mal fatto in un film che per una buona metà si lascia seguire e sa intrattenere.

L’intento un po’ moralistico del film è sottolineare la pericolosità e l’inaffidabilità dei computer e delle varie “diavolerie” elettroniche, che in un contesto storico datato 1993, in cui i personal computer non erano ancora entrati in tutte le case, poteva funzionare come sguardo su un mondo ancora ignoto e con molte possibilità di fantasticare. Paradossalmente, anche oggi, in un mondo praticamente dominato dalle tecnologie in cui si contraddistingue l’onnipresenza dei computer, un’idea come quella alla base di Killer Machine potrebbe essere anche più verosimile e vicina all’esperienza quotidiana dello spettatore, trasformando quella che all’epoca poteva apparire fantascienza, in pura materia per film dell’orrore contemporanei. Inoltre, per diverse soluzioni narrative e per l’enfasi e la fantasia per le elaborate scene di morte “casalinghe”, Killer Machine ha anticipato di molti anni Final Destination.

Ghost in the machine

Ma Killer Machine presenta anche una piattezza di fondo, sia visiva che di ritmo, che lo annette quasi al prodotto medio televisivo (non a caso la regista finirà per convogliare la sua carriera esclusivamente in tv, dirigendo episodi per una considerevole quantità si serie differenti). Inoltre i personaggi appaiono poco interessanti e fin troppo stereotipati; se si salva la madre single e determinata interpretata da una Karen Allen (I predatori dell’arca perduta; Starman) in parte, il piccolo Wil Horneff (Stephen King’s Shining; The Roost – La tana) è il classico e antipaticissimo ragazzino sveglio che sa tutto di computer e videogames, mentre Chris Mulkey (L’alieno; I segreti di Twin Peaks) è uno degli “eroi” più scialbi che si siano visti in un film del genere. Il finale nella Ohio Tech è poi girato con approssimazione, goffaggine e una richiesta di sospensione dell’incredulità troppo grande. Gli effetti speciali digitali “grezzi” che compaiono qui e nella scena della realtà virtuale sono indice di invecchiamento precoce.

Con maggiori accorgimenti Killer Machine sarebbe potuto risultare decisamente migliore, anche perché alcuni aspetti del soggetto lo rendono un film sempre attuale.

Discreto intrattenimento e nulla più.

Roberto Giacomelli

PRO CONTRO
  • Un soggetto accattivante che, paradossalmente, è oggi molto attuale e ha anticipato alcuni altri film.
  • La costruzione da body-count diverte.
  • Effetti visivi invecchiati malissimo.
  • Personaggi poco incisivi.
  • Look da film tv.
  • Paga un debito importante con Sotto Shock di Wes Craven.
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Valutazione: 5.5/10 (su un totale di 2 voti)
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Killer Machine, la recensione, 5.5 out of 10 based on 2 ratings

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