La guerra del Tiburtino III, la recensione

Nel cinema italiano di genere, Roma è periferia. Pensiamo alla Tor Bella Monaca di Lo chiamavano Jeeg Robot, al Quarticciolo di Ghiaccio, alla borgata Trigoria di Piove, alla Tragliatella di Bastardi a mano armata, al Ponte di Nona de La terra dell’abbastanza e al Tiburtino – Casal Bruciato di Go Home – A casa loro. Una Roma verace, vicinissima alle problematiche sociali che i cittadini sentono sulla loro pelle quotidianamente, spesso a contatto diretto con il disagio, la criminalità, il degrado e in fortissima contraddizione con la Roma “bene” dei loft, dei terrazzi, degli open space con cucine enormi e degli attici che spesso fanno da location alla commedia borghese e al dramma sentimental-familiare.

E la periferia romana, nello specifico il micro-quartiere a Roma Est noto come Tiburtino III, fa da sfondo a La guerra del Tiburtino III, quarto lungometraggio di Luna Gualano, che nel 2018 aveva raggiunto la celebrità con l’horror sociale su citato Go Home – A casa loro. Ma se all’epoca erano i morti viventi a invadere le strade romane, in questa occasione sono gli extraterrestri, in una commedia fantascientifica che è stata presentata in anteprima ad Alice nella Città e poi ha raggiunto il Trieste Science+Fiction Festival e il FIPILI Horror Festival, prima di approdare in sala il 2 novembre con Fandango.

Seguiamo il punto di vista di Pinna (Antonio Bannò), un perdigiorno noto nel quartiere del Tiburtino III perché spaccia fumo insieme al suo amico d’infanzia Panettone (Federico Majorana). Una sera, Leonardo, il padre di Pinna (Paolo Calabresi), raccoglie in cortile uno strano sasso fluorescente dal quale, durante la notte, fuoriesce un disgustoso bruco di origini aliene che si infila nella narice dell’uomo mentre dorme e ne prende il controllo totale. Da quel giorno, Leonardo inizia ad aizzare gli abitanti del quartiere adagiandosi sui luoghi comuni che sono agli onori della cronaca locale e raccoglie attorno a sé un folto gruppo di proseliti che, un po’ alla volta, vengono anche essi posseduti dai bruchi alieni.

Quando gli abitanti/extraterrestri iniziano a costruire una vera e propria barricata attorno al quartiere, #TiburtinoIII entra in top-trending sui social e la influencer e fashion blogger di Roma Nord Lavinia Conte (Sveva Mariani), in cerca di un argomento per rinfrescare la sua popolarità, decide di infiltrarsi nel Tiburtino III per una live su Instagram. La ragazza, però, non immagina di trovarsi nel bel mezzo di un’invasione aliena e dovrà unire le sue forze con quelle di Pinna, Panettone e la barista Chanel (Francesca Stagnì) per scongiurare un pericolo per tutta l’umanità.

Dal cinema d’assedio zombesco di Go Home si passa al cinema d’assedio extraterrestre in La guerra del Tiburtino III, un forte legame nella filmografia della regista, sceneggiatrice e montatrice Luna Gualano che porta con sé anche un fil rouge politico/sociale.

Ma se in Go Home l’assedio avveniva in modo classico per una minaccia esterna, in questo nuovo film c’è un assedio interno al microcosmo del quartiere, dove gli abitanti si auto-isolano per la paura ipotetica di una minaccia che in realtà è già tra loro. Poi Go Home era molto più apertamente politico guardando al razzismo, al pregiudizio sociale e all’accoglienza etnica, La guerra del Tiburtino III, invece, si ammorbidisce, colora, si fa più spensierato e brillante pur portando avanti un’intelligente satira al becero populismo di alcuni “aizzatori di folle” del panorama politico odierno.

Il personaggio interpretato da Paolo Calabresi, ometto insignificante e senza personalità, una volta “alienizzato” diventa un leader che preme sulle paure sociali e i disagi del quartiere per acquistare consensi e per farsi portatore di una rivolta populista mirata ad alzare le barriere, ad estraniarsi dal mondo, un piccolo fortino per reclutare proseliti e fungere da porta d’ingresso per la vera invasione.

Potremmo stare qui a versare fiumi d’inchiostro sulla lettura politica de La guerra del Tiburtino III, che c’è ed è fortissima, ma, appunto, il nuovo film di Luna Gualano preferisce gettare i semi di una lettura politica per concentrarsi poi sull’intrattenimento puro e lo fa discretamente bene perché il film è frizzante, divertente. Anche troppo, forse. E qui si percepisce un gap che è la chiave di volta di tanto cinema italiano di genere che non riesce ad evolversi, che è chiaramente ricco di ambizioni, ha idee magnifiche ma è incastrato in una logica da cinema popolare che, in primis, “te deve fa ride”.

Chiariamoci, in La guerra del Tiburtino III la componenti comedy – che è quella preponderante – funziona benissimo ma pensiamo a due film che sono stati chiaramente d’ispirazione a Luna Gualano, ovvero Dimensione Terrore di Fred Dekker e Attack the Block di Joe Cornish, che risultano divertentissimi ma rimangono al 100% aderenti al loro genere d’appartenenza, ovvero l’horror per il primo e la fantascienza per il secondo. In La guerra del Tiburtino III, invece, la contaminazione si fa più invadente e il risultato è una commedia, con connotazioni fantascientifiche. Alla fine, ci troviamo di fronte a un film anomalo perché unisce L’invasione degli Ultracorpi con Zerocalcare, ma che a conti fatti è più convenzionale di quanto ci si potesse aspettare.

Alcune finezze di scrittura, come la prima gag su Padre Pio e il bizzarro personaggio che canta Celentano per un euro, lasciano La guerra del Tiburtino III ben impresso nella memoria dello spettatore e si nota, in generale, una cura e caratterizzazione dei personaggi ben sopra la media, a cui contribuisce anche la bravura degli attori, in particolare il quartetto di protagonisti Antonio Bannò, Sveva Mariani, Federico Majorana e Francesca Stagnì.

Qualche incertezza nella gestione dell’unica scena action, che utilizza la slow motion per ovviare alla mancanza di una vera costruzione coreografica.

Nel complesso, La guerra del Tiburtino III convince, ha belle idee, più chiavi di lettura e si fa intelligentemente specchio della società contemporanea. Ci fosse stata meno commedia e più fantascienza, avrebbe senz’altro meritato mezzo punto in più.

Roberto Giacomelli

PRO CONTRO
  • Alcune gag sono riuscite davvero bene.
  • Gli attori protagonisti.
  • Gli effetti speciali.
  • Come fa satira sull’Italia di oggi.
  • Il tono da commedia è predominante, a tratti troppo, portando un film così fresco e originale a conformarsi nel panorama italiano.
  • La scena d’azione sul finale.
  • Le musiche che a tratti sembrano quelle di stock che trovi nelle library on line, libere da copyright.
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La guerra del Tiburtino III, la recensione, 6.5 out of 10 based on 2 ratings

One Response to La guerra del Tiburtino III, la recensione

  1. Fabio ha detto:

    Non lo so, trovo go home una delle cose più immonde, false e moraliste mai girate, senza contare che ha una messa in scena pessima, dialoghi da telenovela e effetti speciali imbarazzanti, ok che era una piccola produzione ma dio mio…..
    Non so se vedrò mai questa guerra del tiburtino, col precedente film la regista mi pare una da evitare come la peste XD

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