La Teoria del Tutto, la recensione

È uno dei più celebri scienziati viventi perché oltre allo straordinario apporto dato alla ricerca, è diventato famoso per la triste malattia che l’ha reso paralitico. È Stephen Hawking, fisico, cosmologo e astrofisico alla cui vita si ispira La teoria del tutto, magnifico biopic diretto da James Marsh e tratto dalla biografia Verso l’Infinito, scritta proprio dall’ex moglie di Hawking, Jane Wilde.

All’età di 22 anni, ad Hawking viene diagnosticata un’atrofia muscolare progressiva, ovvero una malattia degenerativa che ne compromette tutti i muscoli volontari del corpo e che lo porterebbe, da lì a due anni, alla morte. Ma Stephen non si lascia andare e, supportato dalla neo moglie Jane, porta avanti i suoi studi a Cambridge, teorizzando alcune fondamentali formule matematiche che porterebbero alla scoperta dell’origine dell’Universo. La teoria del tutto, come lui stesso la chiama.

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Costruendo il film nel modo più classico possibile, ovvero con la scansione temporale cronologia della vita straordinaria del suo protagonista, James Marsh, che conosciamo soprattutto per il mediocre thriller terroristico con Clive Owen Doppio Gioco, riesce a vincere la sfida di trasformare in incredibilmente coinvolgente la storia di uno scienziato che ha passato gran parte della sua vita immobile su una sedia. Hawking, che negli anni è diventato un personaggio pubblico di spicco anche per la sua grande autoironia che l’ha portato ad essere affettuosamente preso in giro in molti show televisivi e film, ha dedicato la sua vita alla studio del tempo ed è proprio la dimensione temporale stessa che diventa uno dei punti cardine del film di Marsh.

Ad Hawking erano stati diagnosticati due anni di vita, eppure oggi, ultrasettantenne, è ancora vivo e dedito alla sua causa e tutto questo, nel film di Marsh, sembra quasi una sfida vinta dallo scienziato contro la degenerazione che il tempo stesso ha inflitto al suo corpo, la capacità di fermare quel tempo, di fermare la malattia, di trovare l’origine di tutto e di preservare, nel miglior modo possibile, quanto di bello ci sia stato nella sua vita. In ciò è forse didascalico l’utilizzo dell’effetto riavvolgimento che Marsh stesso utilizza almeno due volte nel film, ma è esemplare nella focalizzazione sul rapporto che Stephen Hawking ha con sua moglie Jane Wilde.

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Si tratta di due persone agli antipodi: razionale e ateo lui, devota a Dio lei; eppure sono entrambi estremamente aperti al dialogo e ad accogliere le vedute altrui, come l’intelligenza detta. Ma si sa, la legge per cui gli opposti si attraggono non è realmente applicabile all’essere umano, e quando Jane trova in Jonathan Jones un punto di riferimento e un aiuto, che ben presto si trasforma in affetto e attrazione, il rapporto tra i due si incrina, ma con lo stesso rispetto per la persona che c’è sempre stato negli anni passati.

La maniera in cui il rapporto tra Stephen e Jane è raccontato è un esempio di ottima narrazione sentimentale che mai ricorre al patetismo, è coinvolgente e umana, a tratti quasi scientifica nell’analizzare la situazione che si è venuta a creare tra i due; così come è assolutamente riuscita la descrizione del percorso degenerativo fisico di Stephen, che utilizza nel miglior modo possibile il make-up e si affida totalmente alle capacità attoriali del giovane Eddie Redmayne, bravissimo e credibilissimo, capace di esprimere emozioni e comunicare anche solamente con gli occhi, come richiesto dal ruolo. E una parte fondamentale della riuscita di La teoria del tutto si deve proprio all’apporto degli ottimi attori, infatti oltre a un Redmayne realmente da Oscar, abbiamo una intensa Felicity Jones nel ruolo di sua moglie.

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La teoria del tutto è un film facile nel senso che non si sforza mai di spiegare allo spettatore cosa facesse realmente Hawking (anzi, nell’unico momento vengono usati un pisello e una patata per esemplificare una teoria dello scienziato), piuttosto si concentra sull’Hawking uomo. Ed è facile anche perché trova la strada più breve per arrivare all’emotività dello spettatore. Ma tutto ciò non fa altro che accentuare la bontà e la delicatezza di un’opera che arriva diritta al cuore e si fa ricordare nel tempo.

Andate a vederlo perché merita… e preparate i fazzoletti!

 Roberto Giacomelli

PRO CONTRO
  • Eddie Redmayne è magnifico!
  • Delicato e toccante.
  • Ben raccontato e capace di rendere appassionante la vita di uno scienziato paralitico.
  • Stephen Hawking che imita il Dalek di Dr. Who.
  • Se vogliamo, risulta un po’ facilotto nel cercare l’emotività dello spettatore.
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La Teoria del Tutto, la recensione, 8.0 out of 10 based on 1 rating

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