L’albero del vicino, la recensione

Presentato alla 74esima Mostra Internazionale del Cinema di Venezia e candidato agli Oscar come Miglior film straniero per l’Islanda, arriva nelle sale italiane dal 28 giugno, grazie alla distribuzione della Satine Film, L’albero del vicino (Under the Tree) di Hafsteinn Gunnar Sigurðsson (regista di Either Way, suo film d’esordio e vincitore del Torino Film Festival nel 2011).

Agnes (Lára Jóhanna Jónsdóttir) e Atli (Steinþór Hróar Steinþórsson) sono una giovane coppia con una bambina. A seguito della scoperta di un tradimento, Agnes butta fuori di casa Atli, imponendogli di non vedere più la figlia Asa. L’uomo si trasferisce così a casa degli eccentrici genitori, Inga (Edda Björgvinsdóttir) e Baldvin (Sigurður Sigurjónsson), dove trova però una situazione ancora più tesa. Inga e Baldvin sono coinvolti in una sorta di guerra fredda con i vicini di casa. Da una banale disputa su un albero, che fa ombra al giardino dei vicini, nasce un clima di crescente tensione e sospetto, che trascina inesorabilmente i protagonisti in un vortice di odio e violenza. La disputa si infiamma: animali da compagnia che spariscono nel nulla, proprietà private danneggiate, telecamere di sicurezza controllate h24 e vicini avvistati con sospette seghe elettriche in cortile.

Il film islandese, commedia cinica con risvolti dark, è stato molto apprezzato ed applaudito dalla critica internazionale. È la storia di una particolare battaglia, ambientata in quella che sembra essere la tranquilla periferia residenziale di Reykjavík. La vicenda centrale della sceneggiatura de L’albero del vicino, che a noi può sembrare fin troppo esagerata, pare sia una realtà molto diffusa in Islanda, dove spesso si litiga proprio per l’albero del vicino! Gli alberi hanno una significato e una valenza molto forte in Islanda: quando si possiedono da molto tempo è difficile rimuoverli. “Quello che ho cercato di fare durante lo sviluppo della sceneggiatura – racconta Sigurðsson è stato di “aprire” la linea narrativa in modo da esporla a diverse interpretazioni. Alla fine si trasforma in una sorta di favola dove si esprime la metafora più grande quella della convivenza degli esseri umani”.

La domanda retorica che ci si pone durante la visione, che poi è un po‘ il leitmotiv di tutta la messa in scena è: cos’è la guerra se non una disputa fra vicini, ma su scala molto più grande? Lbattaglia tra vicini di casa è solo lo scheletro narrativo, il pretesto, riuscito per metter su un film che non si esaurisce soltanto in un racconto ben diretto e ben recitato. Il regista affida un grande peso a tutto ciò che è fuoricampo, ad esempio al corpo mancante del fratello del protagonista. Un’assenza è più presente dei personaggi che occupano la scena. Sigurðsson legge il mondo con la lente del cinema, ricordandoci che la nostra è sempre e soltanto una visione delle cose. “L’albero del vicino – prosegue il regista – metaforicamente parla di un conflitto che può essere tra due differenti nazioni, etnie o gruppi religiosi, che molto spesso iniziano le loro dispute in maniera banale prima di far scoppiare una guerra vera e propria. Di questi tempi ci sono cose terribili nell’aria e credo che abbiamo raggiunto il punto in cui è veramente minacciata la nostra stessa esistenza sul pianeta.

Che sia definita una commedia nera a tratti grottesca o un dramma esistenziale, L’albero del vicino è un film che arriva esattamente dove vuole arrivare. Magari, a tratti, si ha come la sensazione che tutti i gesti dei protagonisti siano prevedibili, scontati e banali. Tutto sommato il film non gode di grossi colpi di scena e, seguendo un’escalation drammatica, anche lo stesso contesto urbano islandese, algido e grigio, finisce volontariamente per esasperare. La musica, di Daniel Bjarnason, gioca un ruolo fondamentale e diviene uno strumento importante per creare quella sensazione di imbarazzo e disagio, posizionata in modo tale da non sostenere solo le immagini, ma da vantare una propria personalità.

Gli attori, coinvolti nella farsa restano sempre, perennemente, seri. Tutto è serioso. Come solitamente accade, la serietà diventa una delle principali premesse alla riuscita dell’effetto “comico” e il film di Hafsteinn Gunnar Sigurðsson gioca su questo principio. Si ride amaro o, più che ridere, ci si concede qualche sorriso nascosto, nel momento in cui la narrazione rincara la dose dell’assurdo, mettendo in scena la tragicommedia dell’animale sociale. Nella civile Islanda, dove alzare la voce o parcheggiare fuori posto è un comportamento inaccettabile, non c’è spazio per l’emotività dirompente, frutto di una reazione ad una situazione di straordinaria amministrazione. Una crisi di nervi appare subito violenza, disturbo psichico e occasione per chiamare la polizia. Non è possibile rompere questa, alquanto falsa, armonia sociale. Per apprezzare L’albero del vicino anche qui da noi, in Italia, dove tutta quest’armonia sociale la conosciamo decisamente troppo poco, bisogna fare uno sforzo e tentare di entrare in una mentalità decisamente nordica. Provare per credere.

Ilaria Berlingeri

PRO CONTRO
  • Gli attori.
  • Montaggio e colonna sonora.
  • Le riprese dei giardini dall’altro.
  • La lenta austerità della messa in scena.
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