L’anno che verrà, la recensione

Samia (Zita Hanrot), giovane ispettrice scolastica, vicepreside alle prime armi, si trasferisce dall’Ardèche nel municipio di Saint-Denis, per lavorare in una scuola media pubblica. A Saint-Denis, Samia scopre i quotidiani conflitti, interiori ed esteriori, che gravano sugli alunni, immersi in una realtà sociale problematica e, al contempo, l’incredibile vitalità ed umorismo degli allievi e della sua squadra di docenti. Tra questi ci sono Moussa, il figo del quartiere, e Dylan, il burlone. Samia si adatta e scova il modo migliore per canalizzare l’energia degli elementi più irrequieti. La sua situazione personale complicata la avvicina naturalmente a Yanis (Liam Pierron), adolescente vitale e intelligente di cui ha compreso il potenziale.

La loro storia è il filo rosso della sceneggiatura. Anche se Yanis sembra rinunciare ad ogni ambizione nascondendosi dietro l’insolenza, Samia investe tutte le energie per salvarlo da un fallimento scolastico annunciato e tentare di spingerlo a proiettarsi verso un futuro migliore.

Gran Corps Malade (al secolo Fabien Marsaud, poeta francese, autore ed esecutore di testi di slam, forma poetica popolare, che utilizza una recitazione a ritmo serrato) e Mehdi Idir, dopo il successo di Patients (2016), scrivono e dirigono a quattro mani L’anno che verrà (La vie scolaire), in sala dal 9 luglio, un film semplice, genuino, autentico, senza fronzoli: rap!

L'anno che verrà

La Saint-Denis che ci presentano i due autori è una periferia di Parigi difficile, dove la scuola si contende i ragazzi con la strada. È un posto in cui ogni insegnante sembra un boxeur des rues pronto a combattere per ottenere attenzione. L’ufficio della vicepreside è un viavai continuo di alunni, un confessionale per ragazzi soli o accompagnati dai genitori. L’ufficio di Samia in L’anno che verrà si trasforma in un luogo privilegiato attraverso il quale scrutare il prossimo anno scolastico. È la zona franca per quell’ “educazione prioritaria”, dove lo Stato tenta di agire, proponendosi di rinforzare l’azione pedagogica con tutti i mezzi a propria disposizione, tentando di colmare le diseguaglianze socioeconomiche che, per forza di cose, influiscono sul rendimento scolastico.

Perché è così difficile la scuola nelle periferie? Perché il sistema fallisce così spesso? È chiaro che nel film non c’è l’intento di colpire nessuno: né i ragazzi, né il personale scolastico, né i genitori. Il sistema scolastico, anche se non è certamente perfetto, ne esce senza colpe. Ma allora qual è l’origine del problema? Il personaggio di Messaoud azzarda un inizio di risposta: «Il contesto è più forte di noi». Il contesto è più forte del singolo individuo, la strada è più forte dell’educazione prioritaria, a Saint-Denis come in tante periferie italiane e di ogni parte del Mondo, dove le lezioni in classe non sono mai come le si programma: i ragazzi ti trascinano, ti trascinano nel loro mondo, nei loro discorsi, ti catturano con la loro fantasia, divagano, ti “modellano” la lezione frontale. I docenti imparano dagli alunni. I ruoli si ribaltano e spesso, troppo spesso, sono loro che insegnano agli insegnanti ad insegnare. Gli stessi educatori nel film appaiono, a volte, come una proiezione adulta dei giovani protagonisti.

L'anno che verrà

“Avevamo voglia di parlare della scuola, ma senza idee preconcette. Abbiamo scelto le Medie perché, al di là dell’aspetto scolastico, è il tempo in cui costruisci la tua identità, vivi i tuoi primi amori, ti definisci…Mehdi e io abbiamo amato quel periodo. È un periodo cerniera – racconta Gran Corps Malade – che ci ha segnato in maniera indelebile. Ma i nostri ricordi risalgono agli anni Novanta. Abbiamo dovuto rimetterci in gioco e andare a studiare sul campo. Nondimeno, sapevamo che alcune scene vissute nel 1994 potevano adattarsi al 2019. Diverse persone a noi vicine lavorano nella scuola. E io ho organizzato dei laboratori Slam per le Medie. Avevamo notato che c’erano delle costanti”.

Alcune sequenze sono ispirate ad eventi reali, altre basate su aneddoti. Il valore aggiunto, rispetto ai tanti film già realizzati su questo tema, è la presenza dell’ispettore scolastico, che si trova al crocevia di tutti i percorsi. Entrare nella storia attraverso questo personaggio, che svolge un mestiere dal carattere eminentemente sociale, permette di collegare le vicende tra loro. Un ispettore affronta dieci problemi diversi ogni ora. È in contatto con i genitori, gli alunni, il personale amministrativo, i professori. Il lavoro dei due registi si è svolto sul campo. Sono letteralmente scesi in strada per parlare con le persone ed indagare sullo stato d’animo dei vicepresidi. Non è la violenza la cosa che colpisce di più il personale scolastico, ma la miseria di molte delle famiglie del quartiere.

L'anno che verrà

Una delle priorità degli autori è stata l’integrazione dei residenti del quartiere in cui giravano, quello di Francs-Moisins a Saint-Denis. Più di 200 persone sono state reclutate in strada, tra cui un centinaio di bambini. D’estate, la maggior parte non va in vacanza e non fa niente per tutto il giorno. Su cinque personaggi principali, tre vengono dal quartiere, così come tutte le comparse. Per interpretare Yanis, è stato scelto Liam Pierron (che in realtà accompagnava al casting per la parte un suo amico), giovane coprotagonista molto promettente, lanciato proprio da L’anno che verrà nel mondo della cinematografia. La sua interpretazione, infatti, gli è valsa la candidatura a Miglior attore esordiente ai prestigiosi Cesar.

Il cinema a volte è troppo chiuso in se stesso. Spesso i film sono o drammatici o buffi, mentre nella vita reale può capitare di ridere in un momento di dramma. Nella seconda parte la pellicola vira verso toni drammatici, ma nelle scene rimangono battute divertenti, una sorta di ascensore emotivo. Le emozioni opposte si esaltano a vicenda. Se in una scena si ride ed in quella successiva ci si commuove… è inevitabile: si resta catturati. Questo equilibrio, ben calibrato, come un buon brano rap o in un testo slam, è il punto vincente dell’opera.

L'anno che verrà

Abbiamo vissuto tutti momenti difficili nei mesi passati e la scuola ne ha pagato le conseguenze, tra le più gravi. Il cinema non è stato da meno, purtroppo. Le sale chiuse, sono state (e sono ancora) un colpo al cuore. Torniamo al cinema, torniamo in sala e, perché no, proprio per vedere un film che parla dell’importanza della scuola, non solo della didattica, ma di tutto ciò che la SCUOLA significa per i ragazzi. Una realtà talmente importante e fondamentale nella vita, che non potrà mai essere sostituita con la didattica a distanza. Confidiamo ne…L’anno che verrà!

Ilaria Berlingeri

PRO CONTRO
  • La veracità dei protagonisti.
  • Il legame di profondo rispetto senza fronzoli che si instaura tra Samia e Yanis.
  • Forse a tratti sembra di guardare qualcosa di già visto.
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