L’apparenza delle cose, la recensione

L'apparenza delle cose

Possono passare gli anni, cambiare le generazioni, i modi di vivere e di pensare, ma ci sono mode e costumi che non cambieranno mai o comunque sono pronti a tornare prepotentemente alla ribalta. Un discorso valido per ogni contesto della nostra vita, ma che può essere applicato anche al cinema, in particolare al genere horror. Se è vero che negli ultimi anni, infatti, stiamo assistendo ad una nuova e fiorente stagione di autori i cui tratti stilistici sono rappresentati da un’analisi profonda e simbolica dei problemi e dei traumi della società attuale, è altrettanto vero che tra le poche certezze ancora rimaste ve ne è una: le storie di fantasmi tirano sempre e anche tanto! Alzi la mano chi non prova un irresistibile fascino per spiriti dal passato maledetto, case infestate e atmosfere goticheggianti, divenute ormai iconografiche e autentici marchi di fabbrica dell’horror.

Lo stesso pensiero lo avranno avuto anche Shari Springer Berman e Robert Pulcini i quali decidono di cimentarsi con il genere horror con una storia di fantasmi di impianto classico, sia nelle ambientazioni che nelle modalità di narrazione. Una scelta vincente solo sulla carta in quanto il loro film, dal titolo L’apparenza delle cose, dimostra la scarsa dimestichezza dei due registi – finora quasi sempre impegnati con commedie – con gli stilemi del filone e di conseguenza il plot, basato sul romanzo All Things Cease to Appear di Elizabeth Brundage, gode di una trasposizione sullo schermo poco ispirata e a metà strada fra il dramma familiare e una storia di possessione. Ciò che ne viene fuori è un horror dimenticabile, dalle atmosfere anonime e poco inquietanti, nonché incapace di incutere tensione e paura in chi guarda.

L'apparenza delle cose

Agli inizi degli anni Ottanta Catherine e George, una giovane coppia impegnata nel mondo dell’arte rispettivamente come restauratrice e professore universitario, si trasferiscono da Manhattan in un paesino dello stato di New York nel cui ateneo George ha ottenuto una cattedra importante. L’occasione della vita, però, diventa ben presto un incubo in quanto i due si troveranno ad affrontare terribili ed inquietanti minacce: le presenze soprannaturali che popolano l’antica dimora e i segreti inconfessabili che uno dei membri della coppia nasconde al proprio partner.

L'apparenza delle cose

Mai come in questo caso il titolo è indovinato poiché il film di Berman e Pulcini sembra promettere tantissimo fin proprio dal titolo, salvo poi venir meno al momento della realizzazione. L’apparenza delle cose, infatti, gode di una trama molto interessante il cui punto di forza dovrebbe essere la profondità e la complessità psicologica dei protagonisti, resa sia attraverso dialoghi incisivi sia tramite immagini fortemente evocative. Non assistiamo a nulla di tutto questo nelle quasi due ore di durata. Il film, infatti, mette in evidenza una piattezza emotiva lampante fin dalle prime battute con protagonisti poco approfonditi le cui evoluzioni e cambiamenti sono resi in maniera superficiale. Inoltre, notiamo una totale incapacità di rendere partecipe lo spettatore di una storia che, seppur vista e rivista mille volte, avrebbe potuto prendere una svolta interessante se integrata al meglio con lo sfascio di una coppia vittima di bugie e ipocrisie. Un plot, che fa acqua da tutte le parti, supportato da un impianto visivo scarno ed elementare e in linea con la mancanza di profondità di un intreccio sfruttato, come detto, solo in piccolissima parte del suo potenziale emozionale ed evocativo.

L'apparenza delle cose

Qualcuno potrebbe chiedere: ma almeno c’è qualche sano spavento? Ebbene, anche su questo fronte, il lavoro approssimativo dei due registi statunitensi rende L’apparenza delle cose un ricettacolo di cose già viste, cliché del genere horror sparsi qua e là senza una funzione ben precisa e atmosfere (solo nelle intenzioni) gotiche che mai riescono a incutere ansia per via di una gestione dalla tensione ai limiti del disastroso.

L’apparenza delle cose, in conclusione, è un horror mal riuscito nel quale si salvano solo le interpretazioni di un cast che può vantare nomi come Amanda Seyfried, James Norton e la star di Stranger Things Natalia Dyer.

Vincenzo de Divitiis

PRO CONTRO
  • Il romanzo da cui è tratto ha una storia dal buon potenziale.
  • Buona interpretazione di un cast sfruttato non nel migliore di modi.
  • Gestione della tensione approssimativa e atmosfere poco spaventose.
  • La storia è sviluppata in modo da disperdere la profondità piscologica dei personaggi.
  • Protagonisti tratteggiati pochissimo e male.
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Valutazione: 4.5/10 (su un totale di 2 voti)
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