Lisa Frankenstein, la recensione

La disponibilità all’adattamento e le possibilità di decostruzione a cui si è prestato il romanzo di Mary Shelley Frankenstein hanno fatto di questo capolavoro della letteratura un evergreen capace di alimentare l’immaginazione di ieri così come di oggi rinnovandosi e adattandosi alle nuove generazioni. Se già nel 1957 Herbert L. Strock immaginava una versione adolescenziale del mostro creato da Mary Shelley in La strage di Frankenstein (I Was a Teenage Frankenstein) e nel 1974 il grande Mel Brooks dava un bizzarro e ironico sequel alla vicenda classica puntato con Frankenstein Junior a un pubblico più ampio, di famiglie, nel 1987 Fred Dekker andava in direzione “avventura per ragazzi” inserendo nel cult Scuola di mostri una creatura di Frankenstein amica dei “neo-Goonies” ammazzamostri. È già nel 1990 che si comincia a riflettere su varianti più “audaci” del mito di Frankenstein con il super-weirdo Frankehooker di Frank Henenlotter, con il quale ha mostrato molte similitudini il recente Povere Creature! di Yorgos Lanthimos, ma in direzione più spudoratamente femminista. Ed è proprio seguendo questo trend “expecially for girls” che nasce (muore e resuscita) Lisa Frankenstein, l’esordio alla regia di un lungometraggio della figlia d’arte Zelda Williams, figlia minore del compianto Robin Williams.

Siamo nel 1989 a New Orleans e Lisa è la classica adolescente introversa e un po’ stramba che fatica enormemente a socializzare con i suoi coetanei; a complicare le cose c’è la sorellastra cheerleader Taffy, modello a cui lei non potrà mai aspirare, e soprattutto la matrigna Janet che non fa davvero nulla per farsi amare e consolare la ragazza per la perdita prematura della madre biologica. Passando i pomeriggi nel cimitero abbandonato della città, Lisa comincia ad affezionarsi e a fantasticare su un ragazzo sepolto lì da un centinaio di anni finché, una sera, una strana tempesta di fulmini colpisce la tomba del ragazzo e lo riporta in vita. Il cadavere putrefatto e melmoso si introduce proprio nella casa di Lisa, che gli ha tenuto compagnia per così tanto tempo, e la ragazza, dopo un’inziale comprensibile repulsione, capisce che la “creatura” non ha cattive intenzioni con lei. Ma un omicidio accidentale e le scariche elettriche del lettino abbronzante malfunzionante di Taffy fanno anche capire a Lisa che la “sua creatura” può rigenerarsi con un po’ di creatività nel taglia/cuci e l’alto voltaggio.

Dietro il progetto Lisa Frankenstein c’è Diablo Cody, ex-promessa del cinema femmil-femminista indie americano a cui dobbiamo piccoli cult come Juno e scult come Jennifer’s Body, e si nota molto il tocco della sceneggiatrice premio Oscar che qui veste anche il ruolo di produttrice. Ma la prima cosa che salta all’occhio a mano a mano che i minuti di Lisa Frankenstein si susseguono e un unico grande punto di riferimento: Tim Burton.

Infatti, l’esordio di Zelda Williams non solo è enormemente influenzato dal cinema di Burton, ma può essere considerato come un enorme omaggio al suo stile e ai suoi temi. Edward mani di forbice, Beetlejuice, La sposa cadavere, Sweeny Todd – Il diabolico barbiere di Fleet Street: la Williams frulla look, suggestioni, argomenti di questi film per farli suoi e restituirli allo spettatore in una storia che richiama in parte anche Warm Bodies di Jonathan Levine, però con luci fluo, capelli cotonati anni 80 e un retrogusto pop che oggi è trendy. Insomma, capirete che Lisa Frankenstein non è di certo una novità pur cercando a tutti i costi una via alternativa per trattare il connubio tra horror e rom-com.

Nel complesso il film scorre e funziona nel suo voler essere un gothic-cutie un po’ fuori dal tempo, anche se sembra costantemente col freno tirato, non vuole mai andare oltre un canonico PG-13 e, vista la storia anche molto malsana, questa scelta è un concreto limite alla riuscita completa del progetto.

Nel ruolo della protagonista troviamo la brava Kathryn Newton che oltre ad aver visto nel ruolo della figlia di Ant-Man in Quantumania, è ormai abbonata al cinema horror grazie al divertente Freaky e al sanguinoso Abigail; al suo fianco, nel ruolo della creatura resuscitata, c’è Cole Sprouse di Riverdale e A un metro da te, in Johnny Depp mode che convince decisamente meno della partner.

A conti fatti, Lisa Frankenstein ha un ché di incompiuto, un film che possiede diverse frecce al suo arco ma non tutte capaci di colpire il bersaglio, il classico prodotto fatto per piacere un po’ a tutti ma che rischia di piacere a pochi. Con 13 milioni di budget e un incasso worldwide di neanche 10 milioni, Lisa Frankenstein è stato un sonoro flop al botteghino, motivo per cui in Italia Universal Pictures ha deciso di saltare l’uscita in sala e destinarlo direttamente all’home video. Lisa Frankenstein, infatti, è arrivato da noi a fine maggio solo in DVD (scelta davvero pessima, in assenza di HD la fotografia del film ne risente tantissimo!) distribuito da Plaion Pictures.

Roberto Giacomelli

PRO CONTRO
  • Una bella veste estetica.
  • Cita e fa suo il cinema di Tim Burton.
  • Kathryn Newton.
  • È costantemente trattenuto per rimanere nei canoni del PG-13.
  • È un po’ un misto di cose già viste.
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Valutazione: 6.0/10 (su un totale di 1 voto)
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Valutazione: -1 (da 1 voto)
Lisa Frankenstein, la recensione, 6.0 out of 10 based on 1 rating

One Response to Lisa Frankenstein, la recensione

  1. Fabio ha detto:

    Uhm 6 a st’abomimio anche no

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    Valutazione: 1.0/5 (su un totale di 1 voto)
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