Oppenheimer, la recensione

Tra le più rappresentative personalità cinematografiche del XXI° secolo, il britannico Christopher Nolan ha un’idea di cinema ben chiara e ad ogni suo nuovo film la espone con fierezza rinforzando il suo peso autoriale. Nolan divide, più o meno, ad ogni opera: ha ormai una fanbase molto solida ma anche accaniti detrattori; e questo nasce, molto probabilmente, dal contributo (fondamentale) dato alla delineazione del filone cinecomics con la sua trilogia (imperfetta) del Cavaliere Oscuro perché, ormai si sa, non c’è spettatore peggiore nell’attuale panorama cinematografico dello spettatore dei cinecomics!

Ma se c’è un film nella sua recente produzione che sembra aver messo d’accordo un po’ tutti, quel film è Oppenheimer, particolarissimo biopic sul papà della Boma Atomica, il fisico statunitense Robert Oppenheimer, che – grazie anche allo strambo sodalizio casuale con Barbie – ha incassato al 21 agosto 2023 (data in cui stiamo scrivendo) oltre 700 milioni di dollari nel mondo (e non è ancora uscito in molti Paesi) infrangendo il primato di film vietato ai minori ad aver incassato più di 10 milioni di dollari al giorno negli Stati Uniti per dieci giorni consecutivi e film ambientato durante la Seconda Guerra Mondiale ad aver incassato di più nella Storia del Cinema. Insomma, un gran bel biglietto da visita che sicuramente ha giovato della pubblicità “gratuita” da meme internettiani con il Barbenheimer, ma ha messo d’accordo anche la critica con un 93% di recensioni positive su Rotten Tomatoes e pareri entusiastici un po’ ovunque.

Nolan è, dunque, riuscito a far sotterrare l’ascia di guerra anche ai suoi detrattori? Questo, forse, sarà il tempo a dircelo [non mancano sui social network imbecilli complottisti che insinuano con convinzione che non sia stato Nolan a realizzare davvero Oppenheimer ma solo a firmarlo], ma quel che è sicuro è che Oppenheimer è davvero un gran bel film, tra gli apici assoluti della carriera di Nolan.

La storia segue la vita del fisico Robert Oppenheimer nel periodo in cui è stato chiamato a vestire il ruolo di direttore del laboratorio di Los Alamos per lo sviluppo del “Progetto Manhattan”, che portò alla creazione della bomba atomica. Conosciamo Oppenheimer come scienziato, integerrimo professionista votato alla ricerca, e come uomo, incastrato in un matrimonio che non lo soddisfa, padre distratto e impegnato in una relazione fedifraga che lo espone alla caccia alle streghe maccartista.

Oppenheimer è un’avventura di 3 ore densa di dialoghi, personaggi, eventi che si intrecciano e si sovrappongono. Così come le linee temporali che si alternano mostrando un presente (all’alba della Guerra Fredda) in bianco e nero, in cui sono raccontate le conseguenze personali e professionali di Robert Oppenheimer in seguito alla duplice esplosione nucleare, e un passato a colori che prende il via sul finire degli anni ’20 quando il protagonista insegnava a Cambridge e si sviluppa poi nel periodo 1942-1945 con la corsa alla progettazione della bomba nucleare per non farsi “fregare” dai tedeschi, prima, e dai russi, dopo. Adottando una scelta cromatica alla Better Call Saul, è come se Nolan volesse mostrarci un presente oggettivo che è il risultato, documentato dalle videocamere, i registratori e i notai, delle azioni soggettive scaturite dal racconto del protagonista. Un passato magari falsato dai ricordi e dalle posizioni personali ma vivo, entusiasmante, “colorato”; un presente rigido e ingessato che pone le cause faccia a faccia con il loro conseguente effetto, monocromatico, quasi funereo.

Va da sé che Oppenheimer non è affatto un film facile e stupisce l’accoglienza calorosa del pubblico perché è uno dei film più ostici e respingenti per un ideale grande pubblico tra quelli realizzati da Christopher Nolan.

Ma l’abilità del regista britannico sta nel ritmo e nel linguaggio utilizzato. Oppenheimer, infatti, non è il classico biopic che ripercorre con agiografico didascalismo una vita celebre, ma un thriller. Nolan racconta il “Progetto Manhattan” con i tempi e i linguaggi del thriller/noir, così come descrive l’impresa di Robert Oppenheimer come avrebbe fatto con le gesta di un’agente segreto in una spy story. E il gioco con i piani temporali alternati aiuta tantissimo a creare un ritmo incalzante, un countdown verso l’inevitabile, che sembra portare di fatto a un passo successivo l’idea di scardinamento temporale che il regista aveva già applicato in maniera molto originale in Dunkirk e in maniera più convenzionale in Tenet facendone il focus. Allo stesso tempo, Oppenheimer conferisce quel senso di implacabile lancetta che scorre veloce grazie a un impianto sonoro pazzesco che probabilmente sarà premiato ai prossimi Oscar (giustamente). Il suono, infatti, è una parte integrante della storia e diventa protagonista in molte sequenze madri, fino ad imprimere uno stato di reale ansia nel magistrale momento del test nucleare, sequenza di una complessità tecnica-registica impressionante.

Ma se oggi salutiamo Oppenheimer come un pezzo di cinema decisamente memorabile il merito va anche alle scelte di casting e al lavoro certosino di tutti gli attori. Cillian Murphy finalmente ha trovato un ruolo da protagonista al cinema che possa esaltarne le innate doti recitative: lui è un Robert Oppenheimer perfetto, intenso ed entusiasta, freddo e riflessivo, il classico “ruolo della vita” che darà sicuramente soddisfazioni al talentuoso attore di Peaky Blinders. Ma a lasciare il segno sono anche i numerosi attori di contorno, anche in ruoli piccoli, ognuno capace di contribuire attivamente alla riuscita del film. Il subdolo Lewis Strauss di Robert Downey Jr., la depressa Kitty Oppenheimer di Emily Blunt, la sanguigna Jean Tatlock di Florence Pugh, il vigoroso Leslie Groves di Matt Damon, il misterioso Albert Einstein di Tom Conti… e via dicendo verso un cast gigantesco ma perfetto in ogni minimo componente.

Ad Oppenheimer si continua a pensare per giorni dopo la visione, è un film che cresce nel tempo, che lascia un sentimento positivo nello spettatore nonostante sullo scorrere dei titoli di coda ci sia un’inevitabile cappa opprimente data da una chiusa tutt’altro che ottimista. Eppure, l’ultimo film di Nolan ha questo potere di persistere nella mente, di sedimentarsi, di non creare la smania di rewatch imminente ma di dare tempo allo spettatore di assimilare quanto visto.

Roberto Giacomelli

PRO CONTRO
  • Riesce a dar vita a un thriller spionistico partendo da un biopic che difficilmente potrebbe essere pensato come tale.
  • L’impianto sonoro, da Oscar.
  • Il cast, con un Cillian Murphy magnifico a guidarlo.
  • Nonostante le 3 ore di durata e l’argomento tutt’altro che avvincente, il film ha un ritmo pazzesco.
  • Non ci sono reali argomenti a sfavore.
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Valutazione: 8.5/10 (su un totale di 2 voti)
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Oppenheimer, la recensione, 8.5 out of 10 based on 2 ratings

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