Quel bravo ragazzo, la recensione

Il titolo L’uomo che usciva la gente forse a qualcuno non dirà nulla, ma i fan della comicità surreale e nonsense penseranno subito a Maccio Capatonda e all’esilarante esordio di Herbert Ballerina, delirante nome d’arte di Luigi Luciano, nome di punta della Shortcut Production, piccola casa di produzione amatoriale con la quale ha esordito il fortunato team di Maccio Capatonda. Fortunato a tal punto che lo stesso Herbert Ballerina, dopo una serie di irresistibili partecipazioni da comprimario in film (Che bella giornata, Italiano medio) e serie tv (Mario, Mariottide), è ora protagonista assoluto di un film, Quel bravo ragazzo, per la regia di Enrico Lando.

Il titolo lascia già intendere che siamo in territorio criminalità organizzata, ma piuttosto che i “picciotti” di Scorsese, abbiamo a che fare con una faida tra famiglie di Cosa nostra. Il boss mafioso Don Cosimato è in fin di vita e quando viene a sapere di avere un figlio, il suo ultimo desiderio è incontrarlo e passargli il controllo della “Famiglia”. Il figlio del mafioso è Leone, trentacinquenne sempliciotto cresciuto in un orfanotrofio e da sempre chierichetto della chiesa di paese. Quando gli uomini di Don Cosimato lo portano dinnanzi al padre e questo gli muore tra le braccia, per Leone sarà un tour de force per diventare il mafioso perfetto.

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Ridere dei mali è il modo migliore per esorcizzarli e la mafia è da tempo un argomento molto gettonato per essere messo in ridicolo dall’industria cinematografica: da alcuni intramontabili classici con Franco e Ciccio fino al capolavoro di Roberto Benigni Johnny Stecchino, senza tralasciare i più attuali successi di Ficarra & Picone La Matassa e di Pif La mafia uccide solo d’estate. La tradizione si rinnova con Quel bravo ragazzo che, a differenza di gran parte dei suoi predecessori, tiene lontano il più possibile il linguaggio satirico e gli intenti più o meno sociologici per gettarsi a braccia aperte nel campo della comicità a tutto tondo, con gag a raffica, pochissime pretese e quell’alone surreale che il personaggio di Herbert Ballerina riesce a donare su tutta la vicenda.

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E infatti la carta vincente di Quel bravo ragazzo è proprio il suo protagonista, che in conferenza stampa è stato definito più volte “candido”, ma potremmo tranquillamente considerare “scemo”… un irresistibile scemo che riesce a fare la differenza in un film che, altrimenti, sarebbe potuto essere molto allineato alla media delle commedie italiane mediocri. E invece il “candore” di Leone porta a situazioni esilaranti che giocano con gli equivoci e gag verbali: il gioco al ribasso che il protagonista attua quando si tratta di contrattazioni economiche è un tormentone che si farà ricordare, ma anche la storia delle pizze con nomi celebri o le minacce di morte non intenzionali faranno fare allo spettatore grasse risate.

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La regia del film è affidata a Enrico Lando, fattosi le ossa in tv con I soliti idioti, che lo hanno fatto esordire anche al cinema con i due film dedicati alla coppia creata da Biggio/Mandelli, seguito dal disastroso Amici come noi. Qui Lando è sicuramente alla sua opera stilisticamente più completa, grazie anche a un team di professionisti che lo circondano capaci di dare a Quel bravo ragazzo un respiro più cinematografico in confronto alle sue opere precedenti.

Molto buono il cast, fatto di caratteristi di gran talento come Tony Sperandeo, Ninni Bruschetta, Enrico Lo Verso e Mario Pupella; immancabili Maccio Capatonda e Ivo Avido in piccoli ruoli e notevole anche Daniela Virgilio di Romanzo Criminale – La serie, che lega la vicenda del nuovo Padrino Leone con una storyline poliziesca abbastanza trascurabile.

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Narrativamente poco pregnante ma con un ritmo ben gestito e una serie di intuizioni comiche molto riuscite, Quel bravo ragazzo si lascia vedere con gusto e ricordare con simpatia, così da considerare riuscito il battesimo a protagonista di “quel bravo ragazzo” di Herbert Ballerina.

Roberto Giacomelli

PRO CONTRO
  • Herbert Ballerina funziona bene anche come protagonista.
  • La comicità surreale del protagonista.
  • Un cast nel complesso affiatato e ben costruito.
  • A livello narrativo siamo nei territori della commedia italiana di costume molto standard.
  • La storyline poliziesca è troppo poco approfondita.
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