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120 battiti al minuto, la recensione

È semplice cadere nello stereotipo quando si decide di rappresentare la malattia al cinema. Questo pericolo aumenta considerevolmente se si parla dell’AIDS, un virus che possiede un intero immaginario cinematografico alle spalle.

120 Battiti al Minuto, diretto da Robin Campillo e vincitore del Grand Prix allo scorso Festival del Cinema di Cannes, evita il cliché dell’omosessuale malato e riesce a non rimanere incatenato alla retorica del vittimismo. Nel corso del tempo, il virus è passato dall’essere protagonista di un cinema militante (praticamente invisibile) negli anni ‘80, a una successiva apparizione nel cinema americano con risultati non sempre ottimali.

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