Taormina Film Fest 62: I.T.

Archiviata la vittoria di Desierto (2015), di Jonás Cuarón, la 62° edizione del Taormina Film Festival si è conclusa con la proiezione fuori concorso di I.T. (2016), un thriller decisamente mainstream interpretato dall’ex 007 Pierce Brosnan, dalla giovane attrice e cantante di scuola disneyana Stefanie Scott, dalla britannica Anna Friel e dall’australiano James Frecheville, per cui possono citarsi, rispettivamente, i precedenti di Limitless (2011) e Animal Kingdom (2010).

L’Information Technology a cui il titolo fa riferimento non è, in effetti, il nucleo tematico del film, ma piuttosto il contesto nel quale la classica formula narrativa dello “sconosciuto alla porta” viene qui attualizzata. Brosnan veste i panni di un imprenditore ambizioso e un po’ spregiudicato, che si affida a un suo giovane dipendente (Frecheville) per riparare un guasto alla linea internet della propria villa, mettendo così quest’ultimo incautamente in contatto tanto con la bella figlia diciasettenne (Scott), quanto con tutti i segreti, professionali e personali, accessibili dall’avveniristico impianto domotico.

Proposto inizialmente al nostro Stefano Sollima, il film è invece diretto dall’irlandese John Moore, la cui filmografia, tra remake, trasposizioni da videogame e sequel, può del resto dirsi pienamente rappresentativa delle tendenze commerciali della Hollywood contemporanea: possiamo citare Il volo della fenice (2004), Omen – Il presagio (2006), Max Payne (2008) e Die Hard – Un buon giorno per morire (2013). A quest’ultimo franchise è del resto legato anche il nome William Wisher Jr., il più illustre tra i due sceneggiatori, già sodale di James Cameron nei primi due capitoli della saga di Terminator (1984-1991). Altro nome illustre da segnale, tra i non protagonisti, è quello di Michael Nyqvist, volto della prima trilogia Millennium (2009).

IT

Il cosiddetto abuse movie – il film costruito attorno all’assedio della famiglia e dello spazio domestico – è un sottogenere classico della produzione hollywoodiana. Se pellicole come Ore disperate (1955) e Il promontorio della paura (1962) possono considerarsene i prototipi, è stato il remake di quest’ultimo titolo, a opera di Martin Scorsese (1991), a esplicitarne il valore di metafora psicologica e socio-politica, con la giovane Juliette Lewis attratta dalla fascinazione del male e della ribellione, ma presto recuperata alle ragioni degli affetti familiari e dell’ordine.

Anche in questo caso, la bella Stefanie Scott apre la porta allo sconosciuto, ma in maniera decisamente più ingenua. Cattivo non del tutto efficace, Frecheville sfodera quindi prevedibili atteggiamenti psicotici, chiuso in una sala con nove monitor degna di un servizio segreto. Più che riadattare l’abuse movie al presente, Moore porta, insomma, in scena un copione già scritto e già visto, fermandosi al cliché senza attingere all’archetipo.

Neppure l’ingresso in scena di un misterioso “pulitore” di reti informatiche aggiunge qualcosa di particolarmente nuovo, con un personaggio ricalcato, a partire dal look, sul Gene Hackman de La conversazione (1974) e Nemico pubblico (1998). Se all’epoca del film di Tony Scott lo spionaggio informatico era già realtà, quasi vent’anni dopo I.T. conferma come i tecnici della NSA, l’agenzia statunitense d’intelligence dedicata alle comunicazioni, stiano conquistando fette d’immaginario cinematografico e televisivo ai danni dei colleghi della CIA e dei loro metodi “convenzionali”.

Enrico Platania

PRO CONTRO
Un thriller a medio budget assolutamente mainstream, nel cast come nella regia e nella sceneggiatura.

 

Idem…
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